Quello che veramente importa: recensione del film di Paco Arango

Quello che veramente importa è un film di Paco Arango, dedicato a Paul Newman e la cui totalità dei guadagni sarà devoluta a sostegno dei campeggi per bambini con patologie gravi.

Arriva nelle sale cinematografiche italiane Quello che veramente importa, l’opera seconda scritta e diretta da Paco Arango dedicata a Paul Newman, che ha la particolarità di devolvere l’intera cifra degli incassi a sostegno dei programmi di Terapia Ricreativa dell’Associazione Dynamo Camp, tra cui il primo campeggio italiano gratuito destinato a bambini con patologie gravi o croniche.

Paul Newman fu fondatore della rete internazionale di campi di vacanza gratuiti per bambini malati, Serious Fun Children’s Network di cui Arango è stato board member per oltre nove anni. Paco non è solo il regista e sceneggiatore del film, ma anche produttore, in quanto presidente e fondatore della Fondazione Aladina.

Quello che veramente importa è distribuito in Italia dalla Mediterranea Productions di Angelo Bassi e vanta nel cast Oliver Jackson-Cohen (Hill House), Camilla Luddington (Grey’s Anatomy), Kaytlin Bernard, Jorge Garcia (Lost) e sua maestà Jonathan Pryce (Brazil, Pirati dei Caraibi, Trono di Spade, L’uomo che uccide Don Chisciotte).

La trama di Quello che veramente importa

quello che veramente importa

Alec Bailey (Jackson-Cohen) è uno smaliziato ragazzo inglese la cui unica preoccupazione è ricoprire i panni del Don Giovanni e scommettere tutto quello che guadagna. La sua specialità è aggiustare apparecchi elettrici e lavora per un’azienda di cui lui stesso è il capo, di conseguenza non si fa troppi problemi a non seguire le regole sul posto di lavoro.

I problemi sorgono quando, tra un turno saltato e una camera da letto di una delle sue clienti, si ritrova a dover restituire dei soldi che non ha a dei brutti ceffi. La svolta per lui arriva mentre cerca di capire come sfuggire ad alcuni creditori, perché viene convocato da uno zio che non sapeva di avere, Raymond Heacock (Pryce). L’uomo si propone di ripagare tutti i suoi debiti, ma, in cambio, pretende che Alec si trasferisca in Nuova Scozia, nella casa di famiglia, e che ci rimanga per 365 giorni, non uno di meno.

Il ragazzo è tutt’altro che convinto della proposta del fantomatico zio, ma si vede infine costretto ad accettare per la mancanza di soldi e prospettive. Una volta arrivato sul posto farà la conoscenza di Cecilia (Luddington) e degli altri abitanti della comunità, scoprendo come la sua famiglia sia conosciuta da tutti. La situazione farà velocemente ricredere Alec della sua scelta, ma prima che decida di infrangere il patto con lo zio Raymond, succederà qualcosa di “bizzarro”, un po’ come il ragazzo, che lo è sempre stato, anche se non lo ha mai notato.

Quello che veramente importa: un’analisi da due punti di vista

quello che veramente importa

La prima cosa da dire è che l’importanza del progetto di Quello che veramente importa supera di gran lunga il film in sé e va ad inglobare tutto quello che il contesto per il quale è è stato girato.

Paco Arango, autore spagnolo di origine messicana, aveva già profuso un impegno simile nel suo primo lungometraggio Maktub (2011), che raccontava dello straordinario incontro tra Manolo, un uomo in crisi, e il giovanissimo Antonio, malato di cancro, e di come il loro rapporto avrebbe ridato un senso alla vita di entrambi. La pellicola servì a finanziare un centro spagnolo per il trapianto di midollo osseo.

Andando oltre le ragioni, tra le più nobili e stimabili, Quello che veramente importa è un film molto modesto, confuso e, a tratti, poco credibile. Il primo difetto è nella scrittura: il film sembra tagliato con l’accetta tra la prima parte, in cui Alec scopre di possedere il dono del guaritore, una peculiarità della sua famiglia, e il processo di accettazione dello stesso, che passa per l’incontro con Abigail (Bernard), una ragazzina malata di cancro (o marshmallow, come viene soprannominato nel film), che lo farà ricredere su tutta la sua vita. C’è talmente tanta disparità di narrazione tra le due parti che sembrano essere quasi due pellicole differenti, perché cambiano repentinamente atmosfere, caratteri e modalità narrative.

Sono costanti per tutto il film le situazioni comiche assolutamente grottesche, che più che far sorridere confondono, sommati ai momenti smielati, ingenui e buonisti (che però fanno parte del pacchetto e sono inevitabili in una pellicola del genere). I personaggi sono scritti in modo ingenuo e sono per lo più poco credibili. La regia è semplicissima, così come la fotografia da fiction tv americana.

In conclusione bisogna fare un distinguo tra la mediocre qualità del film e la bellezza e l’importanza delle intenzioni per le quali è stato girato.

Andatelo a vedere, la causa è di quelle che contano.

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 1.5
Recitazione  - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2

1.8