Permanent Vacation: recensione del film di Jim Jarmusch

Dal 30 luglio torna al cinema, con Movie Inspired, il lungometraggio d’esordio del re del cinema indipendente statunitense

Se c’è un regista che ha segnato il cinema indipendente, quello è Jim Jarmusch: nessuno come lui è stato in grado di raccontare, nel corso della sua carriera, gli outsider, gli incompresi, tutti quelli che vivono ai margini della società americana contemporanea. E anche in Permanent Vacation, nonostante sia la primissima opera del regista di Akron, si colgono già quelle che saranno le caratteristiche principali del suo cinema, e il suo sguardo disilluso verso il sogno americano. Ma proprio perché parliamo dell’esordio di Jarmusch – un film autoprodotto e realizzato nel 1980 come tesi di laurea per la Graduate Film School della New York University – si tratta di un’opera estremamente acerba, che se paragonata al resto della carriera del regista va sicuramente a perdere punti.  Il ritorno nelle sale di Permanent Vacation – il 30 luglio in versione restaurata – è quindi più lo studio degli esordi di un rivoluzionario del cinema alternativo, che un momento di puro intrattenimento. Una sorta di gioco a trovare, nascosto sotto l’inesperienza di un giovane al suo primo lungometraggio, le tracce della poetica che caratterizzerà il futuro genio di Jim Jarmusch.

Permanent Vacation: un esercizio di stile sugli outsider ai margini della società

Permanent Vacation cinematographe.it

Il protagonista di Permanent Vacation è Allie (Chris Parker), un giovane ragazzo che vive in una New York completamente fuori dal tempo e dallo spazio, distrutta e devastata, e che nonostante abbia una buona vita e una bellissima ragazza (Leila Gastil) non riesce a sentirsi in pace. Allie sente la necessità di cambiare per trovare nuovi stimoli, ma non sa come fare e quindi continua a passare giornate e notti insonni a girovagare per la città. Quando torna nella sua casa occasionale, a Leila che si lamenta delle sue lunghe assenze, risponde:

Siamo tutti soli. Alcune persone sono capaci di distrarsi con le loro ambizioni. Ma io non sono così. Loro credono che la gente come me sia pazza. Per come vivo. Capisci? Puoi chiamarmi incosciente. Ma è l’unico modo per me.

Dopo aver dichiarato esplicitamente i suoi intenti, il film ci porta a seguire Allie in una particolare notte in giro per New York: durante il suo girovagare tra macerie, infatti, il protagonista incontra tutta una serie di personaggi che lo incuriosiscono, che, a loro modo, gli insegnano qualcosa in merito al cambiamento e gli raccontano l’incapacità di comunicare e stare con gli altri che sente anche lui. Proprio alla fine di questi incontri, avviene il caso che lo porta finalmente a una svolta nella sua vita: grazie ai soldi ottenuti con un’auto rubata, Allie parte finalmente per Parigi, che poi è proprio il luogo da cui ci racconta la sua storia, in una sorta di lungo flashback. Ed è proprio nella sequenza finale del film, mentre il ragazzo sale sulla nave che lo porterà finalmente lontano, che la voce fuoricampo di Allie racconta il senso più profondo dell’opera:

Ora che sono via vorrei essere di nuovo lì. Molto più di quando non ero veramente lì. Diciamo solo che sono una specie di turista…un turista perennemente in vacanza.

Il manifesto (acerbo) del cinema di Jim Jarmusch

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Chi conosce Jim Jarmusch sa che le ambientazioni dei sui film non sono mai casuali, ma sono sempre espressione dello stato d’animo dei suoi personaggi. E Permanent Vacation già mostra questa concezione: la New York che ci scorre sotto gli occhi – irriconoscibile, una sorta di città post-bellica distrutta e abbandonata – ci dice molto su Aloysius Parker, il nostro protagonista Allie. Questo ragazzo apparentemente ha tutto, ma non riesce a trovarsi a suo agio nella sua vita, da cui cerca costantemente di scappare. E allora vaga. Vagabonda tutta la notte per questa strana New York silenziosa e decadente, alla ricerca di qualcosa che nemmeno lui sa esprimere, desideroso di cambiare la sua vita andando a Parigi, ma senza sapere nemmeno come fare. A colpire è l’alternanza di silenzio e monologhi del protagonista: i dialoghi sono pochi, mentre è più spesso Allie a parlare da solo, e questa scelta serve a trasmettere allo spettatore la su solitudine e la sua difficoltà a comunicare, tipici di tutta la sua generazione senza ideali e allo sbando. Il film si snoda, per la sua prima metà, raccontandoci con lentezza la storia del protagonista-narratore, che si trova effettivamente a Parigi ma che, in questa fuga, non ha trovato il conforto in cui aveva sperato. Il secondo atto, invece, è più dinamico e ci permette di seguire Allie nel suo vagabondare notturno e nell’incontro con tutta una serie di personaggi che lo stimoleranno a prendere finalmente la sua decisione. Girato in 16 mm, il lungometraggio mostra il primo accenno delle caratteristiche stilistiche di Jim Jarmusch, che già da Permanent Vacation usa regia, fotografia e sonoro per raccontare la vita da outsider dei suoi protagonisti: si può trovare già una versione acerba del suo celebre piano-sequenza e della staticità d’immagine che lo hanno reso famoso – come nella scena del furto d’auto –, così come la presenza di John Laurie che per moltissimi anni sarà al suo fianco, e che qui appare sia in un cameo, sia come compositore delle musiche, insieme allo stesso Jarmusch. Quello che invece manca, rispetto agli sviluppi futuri delle opere del regista è quello sguardo ironico che permette di giocare con la storia e con i suoi personaggi. Manca, inoltre, la capacità di trasmettere questo senso di profonda angoscia e disillusione in modo cinematografico: ecco perché Permanent Vacation sembra più una sorta di lungo documentario che non un vero e proprio film, e rischia di annoiare lo spettatore che cerca del semplice intrattenimento.

Permanent Vacation, in conclusione

Permanent Vacation è l’opera prima di Jim Jarmusch, e come tale contiene in sé sia la parte migliore delle future opere del regista, sia degli elementi che rendono questo film ancora molto acerbo. Più che come un prodotto d’intrattenimento, va visto come una sorta di documentario che ci spiega l’origine del lavoro del grande regista indipendente, un esercizio di stile sperimentale che potrebbe però annoiare chi non è appassionato delle sue produzioni. Approcciatelo, quindi, per puro scopo di studio e analitico, e come l’opera di un ragazzo che muove i primi passi nel mondo del cinema, e che in futuro avrà più di qualcosa da dire.

Permanent Vacation uscirà nuovamente al cinema, nella sua versione restaurata, il 30 luglio 2020 con Movies Inspired.

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Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.5