Paradiso perduto (1998): recensione del film di Alfonso Cuarón

Paradiso perduto è l'opera più sensuale - e forse meno blasonata - di Alfonso Cuarón, dotata di un connubio perfetto fra arte, tecnica ed emozione.

L’intera filmografia di Alfonso Cuarón rappresenta il portfolio della sue straordinarie doti tecniche e artistiche, facilmente riconoscibili – fra gli altri elementi – dal gusto per una fotografia raffinata e dai rocamboleschi piani sequenza, che caratterizzano in particolare le sue opere più apprezzate (pensiamo a I figli degli uomini o Gravity). Non fa eccezione il romantico Paradiso perduto (titolo originale Great Expectations) che – tuttavia – è inspiegabilmente tra i film meno citati del regista, nonostante la qualità di realizzazione e un cast stellare.

Tratto dal romanzo di Charles Dickens, Grandi Speranze, dal quale tuttavia si prende alcune libertà narrative (dai nomi dei personaggi alle inclinazioni artistiche del protagonista), Paradiso Perduto racconta la sensuale storia di formazione di Finnegan Bell (uno straordinario Ethan Hawke), un giovane artista nato in Florida in un piccolo paese di pescatori e cresciuto con il compagno della sorella, Joe (Chris Cooper), dopo l’abbandono improvviso di quest’ultima (che nel libro, invece, si ammala gravemente).

Paradiso perduto Cinematographe

Finn è un ragazzino timido e impacciato, che riesce a esprimere il suo ricco mondo interiore solo disegnando ciò che vede intorno a sé, dimostrando un talento acerbo ma luminoso che difficilmente può trovare spazio e riconoscimento nell’umile realtà in cui vive. Dopo la singolare esperienza dell’incontro con un evaso (Robert De Niro), che gli chiede di aiutarlo a scappare, un giorno Finn incontra Estella, una ragazzina viziata, nipote della donna più ricca della contea, l’eccentrica signora Dinsmoor (l’eccezionale Anne Bancroft), impazzita dopo essere stata abbandonata all’altare più di vent’anni prima e determinata a far sì che la bellissima nipote infligga la stessa sofferenza a tutti gli uomini incontrati.

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Il piano malvagio della signora Dinsmoor coinvolge da subito l’ingenuo Finn, che si ritrova a trascorrere ogni sabato a casa della donna sotto lauto compenso, col fine dichiarato di giocare con sua nipote e intrattenere lei, facendo sì che il ragazzo – ormai cresciuto – non possa fare a meno di innamorarsi della glaciale ragazza (che da grande ha il volto etereo di Gwyneth Paltrow).

Paradiso perduto: il prezzo della grandi speranze

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Paradiso perduto sembra per certi versi fare eco alle tematiche trattate nel successo mondiale dell’anno precedente, Titanic, dipingendo la storia impossibile fra un ragazzo di umili origini e una coetanea appartenente a tutt’altra estrazione sociale, sullo sfondo della sensualità che poter ritrarre l’oggetto del proprio desiderio produce. Anche la figura della signora Dinsmoor sembra riprendere (sicuramente in modo più eccentrico e con una differente posizione narrativa) il personaggio onnisciente di Rose da anziana, con la differenza che Anne Bancroft è l’auriga di una storia fatta di amore, vendetta e soprattutto manipolazione, in cui i due protagonisti si ritrovano vittima non di un naufragio ma “solo” delle aspettative contemporaneamente generose e spietate di adulti che non sono stati in grado di vivere la vita che avrebbero desiderato.

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La fotografia incantevole di Emmanuel Lubezki corona questo affresco onirico, frutto dei ricordi di un ragazzino che si è trovato a desiderare e ottenere una vita al di sopra delle sue possibilità, al solo scopo di innalzarsi al livello di Estella, senza capire che l’unica differenza fra lui è lei risiedeva nella paura d’amare che le era stata inculcata fin da piccola. Paradiso perduto, inoltre, sottolinea come le nostre aspettative possano essere in grado di modificare la realtà che ci circonda, creando apparenti coincidenze che non sono altro che il frutto di ciò che ci siamo immaginati sarebbe accaduto ma che, in realtà, possono celare tutt’altra origine, rispetto a quella attesa.

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La regia eccezionale di Alfonso Cuarón riserva uno dei suoi caratteristici ed emozionanti piani sequenza alla scena clou del film, portando lo spettatore in giro per New York senza mai staccare l’inquadratura, sovrapponendo il ritmo della narrazione a quello delle emozioni incerte e trattenute del protagonista, che vanno lentamente esplodendo nel momento sottolineato dallo splendido brano musicale di Patrick Doyle Kissing in the rain, tema del film. Vi proponiamo di seguito l’ultima parte della splendida scena (e il relativo piccolo SPOILER), in cui possiamo notare anche l’emozionante utilizzo della musica che Cuarón fa in rapporto al ritmo e ai movimenti della scena:

Per il resto della pellicola, senza rinunciare agli inseguimenti della camera a mano, il regista preferisce inquadrature brevi, tese a posarsi alternativamente sugli sguardi eloquenti dei personaggi, continuando a montare le immagini al ritmo di una colonna sonora bellissima, in grado di raccontare passo passo il sentimento dei protagonisti. Oltre alla già citata Kissing in the rain, si passa dalle note eteree di Tori Amos per approdare alla sensualità della voce di Chris Cornell in Sunshower per raccontare con maestria il lato sensoriale dell’amore fra due ragazzi destinati a creare scintille ad ogni contatto, ma il cui destino viene a lungo manipolato.

Paradiso perduto rappresenta quindi una delle migliori opere del regista messicano, capace di infondere la massima poesia possibile all’intenso racconto di Dickens, arricchendolo senza snaturarlo e donandogli la massima attualità, mantenendo intatti significati e magia.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4.5
Emozione - 4.5

4.4