Nei panni di una principessa – ci risiamo! : recensione del sequel Netflix

Ritorna Vanessa Hudgens sulla piattaforma Netflix, con un sequel che ricicla lo spunto del primo film e ripete uno schema già sfruttato, con gli scambi di identità ancora al centro delle vicende.

Nei panni di una principessa – ci risiamo! È il sequel del fortunato film del 2018, diretto da Mike Rohl e interpretato da Vanessa Hudgens. Disponibile dal 19 Novembre su Netflix, il film porta in scena una nuova avventura con la principessa Stacy De Novo e Lady Margaret Delacourt. Questa volta si aggiunge un terzo incomodo, una presenza inaspettata che è intenzionata a rovinare la cerimonia di incoronazione di Lady Margaret: Fiona Pembroke (di nuovo Hudgens in scena), cugina della prossima regina e nota arrampicatrice sociale senza scrupoli. Con le festività alle porte e un evento molto importante per i cittadini di Belgravia, Margaret decide di effettuare di nuovo uno scambio di identità con Stacy per ricucire i rapporti con Kevin (Nick Sagar), amico di infanzia di Stacy. Impaurita per la carica che dovrà ricoprire e per le responsabilità che dovrà sostenere, Margaret sente il bisogno di ritrovare una dimensione più intima e terrena, a contatto con gli affetti più cari, mentre Stacy riflette sulla sua relazione con il Principe Edward di Belgravia (Sam Palladio) e su come rinnovare la sua promessa d’amore.

Nei panni di una principessa – ci risiamo!: la sensazione di rivedere lo stesso film del 2018 è evidente

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Nel sequel targato Netflix, la trama procede per inerzia senza netti cambiamenti in fase di scrittura dei personaggi. Vanessa Hudgens ripropone il suo doppio ruolo, con accenti, posture e atteggiamenti completamente differenti fra loro, aggiungendo un altro elemento di disturbo che aspira alla conquista del trono di Belgravia. Fiona Pembroke è una versione di Hudgens che si rende macchietta, una figura inizialmente promettente e dalla carica energica che perde di definizione in via di sviluppo. Le intenzioni sono povere e il background è risicato, e veniamo costretti a confrontarci con un’antagonista senza un carattere ben definito.

Lo schema narrativo è il seguente: riassunto della condizione attuale delle protagoniste di punta, dubbi da porre in evidenza per preparare una svolta che possa smuovere le fila della trama, equivoci e scambi di identità con esiti fallimentari, rapporti di coppia da ricostruire e lieto fine programmato per chiudere il sipario. Tutto perfettamente organizzato per consegnare un secondo film dal retrogusto amaro, con degli ingredienti già ampiamente selezionati e che rischiano di non rendere scorrevoli certi passaggi nella storia. L’unica interprete che cerca di condurre uno sviluppo piatto nelle idee è proprio colei che ha bisogno dei riflettori puntati come piattaforma per mostrare il suo talento di trasformista: Vanessa Hudgens, dal brillante sorriso e un carisma che va oscurando i personaggi di contorno.

La sontuosa scenografia non viene valorizzata appieno

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La location di Belgravia, elegante scenario londinese dai colori sfavillanti, non viene supportata dal lavoro in sede di regia di Mike Rohl. Ingaggiato anche per la direzione del sequel, Rohl procede su binari già battuti, concentrando gli sforzi sulle espressioni dell’attrice protagonista e sulle sue interazioni con gli altri membri del cast. Nonostante la ricostruzione di set magniloquenti e ricchi di dettagli che richiamano le atmosfere natalizie, lo stile di ripresa adottato è elementare e privo di mordente. Si tratta di una questione di priorità: nell’elevare un materiale che non presenta effettive novità sulla carta, lo staff dietro le quinte viene trascinato di peso in una storia incentrata nuovamente su uno scambio previsto dal copione.

Non viene giocata nemmeno la carta del “bigger is better”: un budget più corposo, per una resa ancora più elaborata e con scene dalla travolgente carica comica. Il one woman show si triplica, con risultati altalenanti. I personaggi di Stacy, Margaret e Fiona occupano totalmente la scena, con particolare brio e freschezza, senza concedere ad altri interpreti lo spazio per poter impreziosire una trama predefinita e impostata in modo tale da preparare “l’happy ending” adeguato per i film confezionati sotto il periodo di Natale. Anche la gestione degli atti riserva qualche incertezza: il tanto atteso ribaltamento dei ruoli avviene dopo un’ora dai titoli di testa, in una durata complessiva di novanta minuti netti. Il meccanismo vincente, caratteristica di spicco nel capitolo precedente, tarda a comparire e questa precisa scelta va a depotenziare le già discutibili premesse del racconto.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.5

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