Lo spazio che ci unisce: recensione del film con Asa Butterfield

Disponibile su Netflix dal 3 giugno, Lo spazio che ci unisce si presenta come un film di fantascienza che non mantiene le promesse e scade velocemente in un romanticismo sdolcinato

In un momento storico in cui l’uomo ancora sogna di colonizzare lo spazio, i film ambientati oltre i confini terrestri possono quasi considerarsi una garanzia di successo al botteghino. Lo spazio che ci unisce (The Space Between Us), film del 2017 diretto da Peter Chelsom con Asa Butterfield e Gary Oldman, disponibile dal 3 giugno nel catalogo italiano di Netflix, cerca di cavalcare l’onda ma perde inesorabilmente di interesse non appena il centro dell’azione punta verso la Terra.

Lo spazio che ci unisce è un film di fantascienza che non mantiene le aspettative della prima metà e precipita in un vortice di pathos scadente e sdolcinatezza

Lo spazio che ci unisce: recensione del film con Asa ButterfieldFin da bambino, il visionario Nathaniel Shepherd (Gary Oldman) aveva un sogno: poter finalmente mettere piede su Marte. L’inesauribile sete di conoscenza, da sempre motore propulsore per l’uomo, il desiderio di poter esplorare nuovi mondi e un pianeta Terra sempre più minacciato dal riscaldamento climatico hanno portato alla formazione di East Texas, la prima colonia umana su territorio marziano. Una nuova spedizione a capo della brillante astronauta Sarah Elliot (Janet Montgomery) è in procinto di partire per la base e a neanche due mesi dal decollo diventa evidente che Sarah è incinta.

Una volta su Marte darà alla luce suo figlio, Gardner (Asa Butterfield), per poi morire a causa di alcune complicazioni postparto. Sedici anni dopo, il giovane ha come migliore amico un piccolo robot e chatta costantemente con una ragazza americana, Tulsa (Britt Robertson), durante le sue lezioni al college. Non passerà molto tempo prima che Gardner venga finalmente mandato sulla Terra per poi scappare alla ricerca di Tulsa e del suo vero padre.

Abituati a pellicole che ci accompagnano in mondi sconosciuti, molto lontani dalla nostra realtà, nonostante con i primi minuti non si distacchi troppo dal genere, Lo spazio che ci unisce ci presenta finalmente un punto di vista non convenzionale. È la Terra stavolta a essere considerato territorio sconosciuto, enorme parco giochi da esplorare e da cui rimanere affascinanti. Gardner, adolescente con poster di alieni alle pareti della sua stanza nella base spaziale, ci viene ovviamente presentato come un piccolo genio ma è cresciuto tra scienziati progettando robot e sarebbe difficile fare altrimenti. Sognando di poter finalmente viaggiare fino alla Terra, Gardner guarda film come Il cielo sopra Berlino (Wim Wenders) mettendosi nei panni di Damiel, angelo che dall’alto osserva e ama la trapezista Marion.

Lo spazio che ci unisce: recensione del film con Asa Butterfield

Lo spazio che ci unisce è un film che perde mano a mano d’identità, l’ambientazione spaziale si trasforma in un pretesto vuoto per confezionare l’ennesima, scadente, storia d’amore

Se nella prima metà del film la scrittura pare suggerire uno sviluppo narrativo non brillante ma quantomeno in linea con quanto è stato fino a quel momento presentato, non appena l’azione si sposta sulla Terra si assiste a un triste dilapidamento dei buoni propositi iniziali. Tra echi di trame tipiche da serie tv ambientata in un qualsiasi college americano e road trip che fanno da sfondo a una sdolcinata e mal scritta storia d’amore adolescenziale, Lo spazio che ci unisce perde lentamente la sua identità per finire a nuotare in un mare di assoluta autoreferenzialità. Evidentemente a corto di materiale e vogliosi di scadere nell’ennesimo bieco cliché, gli sceneggiatori si giocano la carta di una possibile morte imminente di Gardner, il cui corpo non può più resistere all’atmosfera terrestre, ma il risultato è purtroppo ridicolmente maldestro.

Lo spazio che ci unisce: recensione del film con Asa Butterfield

Sebbene la struttura narrativa rimanga coerente fino alla fine, dispiace assistere alla lenta deriva di un film che perde molteplici occasioni per mettere da parte il trito romanticismo e approfondire tematiche ben più interessanti come, per esempio, l’alienazione del protagonista sulla Terra, il senso di inadeguatezza e lo straniamento di non sapere più dove sia più giusto considerarsi a casa.

Nonostante le premesse interessanti, fra cui la strizzata d’occhio al cinefilo con la citazione wenderiana, Lo spazio che ci unisce non mantiene quello che promette. Spinto ad andare al cinema da un’ambientazione in perfetto stile fantascientifico, lo spettatore si troverà davanti a un film romantico senza sostanza, con battute dozzinali e un bagaglio di occasioni perse.

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 1

1.9