Little Big Women: recensione del film Taiwanese disponibile su Netflix

La celebrazione della vita e la commemorazione dell'aldilà si allineano e coincidono nel dramma famigliare tutto al femminile Little Big Women. Il film, campione d'incassi a Taiwan, è disponibile su Netflix a partire dal 5 febbraio. 

Sembra forse inverosimile, ma le volte in cui vita e morte s’incontrano nello stesso esatto momento è una coincidenza rara ma per nulla improbabile. Che sia destino o pura casualità, allineamento astrale o mera ordinarietà, capita che il vivere e il suo opposto si manifestino nella medesima ricorrenza, confondendo i limiti e le distinzioni che ci imponiamo per tentare quantomeno di distinguerli nella loro antitetica interpretazione. Nascite che convergono nel medesimo giorno di una scomparsa; grandi gioie che incontrano profonde sofferenze; date che collimano con compleanni e ricorrenze funebri spesso ci lasciano attoniti per la loro insolita discordanza ma parte comunque di un’unica e globale esperienza umana. Riesce a cogliere questa doppia angolazione Little Big Women, il dramma famigliare diretto Joseph Chen-Chieh Hsu, campione d’incassi a Taiwan (stesso successo al botteghino nazionale di Your Name Engraved Herein) e disponibile dal 5 febbraio su Netflix. Al suo primo lungometraggio dopo la direzione e la scrittura di numerosi corti, il regista mette in scena con un avvolgente tocco malinconico la storia di una famiglia al femminile che deve fare i conti con la morte di un marito e un padre assente un’intera vita, quanto mai presente nella sua stessa dipartita.

Little Big Women: la notizia di una morte irrompe nei preparativi di un compleanno

little big women cinematographe.it

All’ultimarsi dei preparativi finali della festa di compleanno di Lin Shoying (Shu-Fang Chen), anziana signora ex proprietaria di un rinomato ristorante di Taiwan ora gestito dalla figlia minore, arriva improvvisa la notizia della morte del marito Chen Bochang, ammalato da tempo e affidato alle cure della nuova compagna Tsai Meilin (Ning Ding). Nonostante un apparente freddezza e distanza iniziale, Lin, che non ha mai concesso il divorzio a quell’uomo donnaiolo e poco incline ai sacrifici paterni, è costretta a fare i conti con la scomparsa di Chen e con una vita di relazioni extraconiugali che l’hanno obbligata a crescere le figlie da sola. Accanto a lei la primogenita Ching (Ying-Hsuan Hsieh), insegnante di danza guarita da poco da un cancro; Yu (Vivian Hsu), rinomata chirurgo plastico; la nipote Clementine (Buffy Chen) e la minore delle tre Jiajia(Ke-Fang Sun). Nel corso dei lunghi preparativi della commemorazione funebre, le cinque donne della famiglia saranno costrette a confrontarsi con il dolore, quello condiviso del lutto e quello personale del proprio presente.

Un dramma femminile sulla condivisione del dolore e il lutto, sulla sorellanza e sui legami materni

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Sceglie di dispiegarsi su una trama infondo ordinaria e tradizionale Little Big Women, attingendo al filone del melò famigliare a interno borghese che narrano ormai da secoli di dinamiche e legami materni, di matrimoni e amori in un continuo alternarsi tra passato e presente. Relegando le figure maschili e paterne in un confinamento narrativo di transitorietà, (sottolineando la presenza passeggera e inconsistente di Chen padre e marito tra scappatelle extraconiugali e un certo infantilismo di fondo), il regista eleva a indagine psicologica e famigliare le componenti femminili, esaltandone la complessità e allo stesso tempo l’armonia possibile del matriarcato. Facendo coincidere il giorno del compleanno della protagonista con la notizia della morte del marito, finito il tempo dei (malinconici) festeggiamenti, quei dieci anni di silenzio riaffiorando trascinano con sé tutta una serie di sentimenti e di non detti, di ricordi e di segreti atti a scomporre il disincanto e l’idillio apparente, lasciando così spazio ai confronti, agli affronti, alla parola.

Una storia che non ha nulla di speciale ma che riesce a evocare atmosfere avvolgenti e malinconiche

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Ma Little Big Women non si fa mai dramma del risentimento. L’anima conflittuale che emerge nel corso del film non è mai verbosa o riottosa, bensì più nostalgica e intimista cingendo lo spettatore in un dramma che sì, fa del dolore la sua miccia narrativa per svelare e indagare le dinamiche intrinseche al melò, ma fa altrettanto uso di momenti di dolcezza, di sorellanza e di domesticità che prevalgono ed esaltano i toni armonici senza mai essere melensi. L’anima del film risiede dunque nella capacità di avvolgere lo spettatore in un’atmosfera di nostalgia, di rievocazione del vivere sentendo l’ombra della morte. È una fine che aleggia in tutto il film, dalla lunga preparazione della cerimonia funebre taoista alla scoperta del ritorno della malattia di Ching, ma non è una presenza affatto plumbea ma che piuttosto riesce ad amalgamarsi nel presente e a coabitare con il suo opposto. È così che Little Big Women si sospende volontariamente in una percezione di immanenza tra religione e superstizione, lasciti e aldilà, riuscendo a raccontare una storia fatta di emozioni trattenute ma manifestate, di perdono e di generazioni ritrovando in quei gesti quotidiani e di condivisione l’unica possibile via di superamento di un lutto. Personale e familiare, qualsiasi esso sia.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.6

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