L’educazione di Rey: recensione del film crime argentino

Dal 4 aprile al cinema arriva il nuovo film crime argentino diretto da Santiago Esteves: L'educazione di Rey. Ecco la nostra recensione del film

Siamo in Argentina. Reynaldo, detto El Rey, ha il viso appuntito e gli occhi ravvicinati di Matías Encinas, giovane attore al suo debutto sul grande schermo, ma già dotato di straordinaria maturità. Quando, cacciato di casa dalla madre e introdotto dal fratello nei circuiti della microcriminalità mendoziana, si mette nei guai e finisce nel giardino dell’ex guarda giurata in pensione Carlos Vargas (interpretato da Germán de Silva), distruggendone la serra, ecco che trova nell’autorevolezza ruvida e taciturna del padrone di casa “danneggiato” dalla sua caduta un insospettabile istinto di protezione e di cura.

L’educazione di Rey, opera prima di Santiago Esteves, giovane regista argentino laureato in psicologia, possiede qualcosa di molto europeo e qualcosa di molto sudamericano insieme: l’eleganza asciutta di un gusto estetico di sottrazione, quasi povero nella sua rinuncia ascetica a ogni fronzolo e a ogni distrazione dalla vicenda rappresentata, l’attenzione alle ferite dell’infanzia e dell’adolescenza all’interno di un microcosmo feroce e regolato da leggi darwiniane, la riflessione pedagogica e il ritratto di due mancanze che si compenetrano a vicenda sono tutti aspetti che suggeriscono una sensibilità europea, da cinema sociale à la Dardenne.

C’è, però, una tendenza contraria, molto sudamericana, al minimalismo di cui sopra, ed è qualcosa che a che vedere con la struttura, un’esuberanza di spunti che si accavallano e di generi che si intrecciano in una miscellanea di suggestioni che fanno del film uno zibaldone affascinante, ma paradossalmente incompiuto e centrifugo. Il suo eclettismo – va detto – dipende anche dalla genesi dell’opera, nata come serie TV e poi trasformata in film solo in un secondo momento.

L'educazione di Rey cinematographe.it

L’educazione di Rey: tra il racconto di formazione e la crime story

L’educazione di Rey è, così, proprio per l’eterogeneità stilistica che rivela, sia un racconto di formazione sia una crime story, e presenta con coraggio, ma encomiabile understatement, un punto di vista sulla società argentina di questi anni: come la nostra è intossicata dalla corruzione, priva di opportunità e compromessa a livello relazionale. La criminalità seduce i ragazzi di cui le famiglie non vogliono e non sanno occuparsi e l’incomunicabilità tra diverse generazioni e diverse stratificazioni sociali scava un baratro oscuro di molteplici negligenze e verticali indifferenze.

In tale desolante scenario, un uomo come Carlos, ex addetto alla sicurezza dei portavalori che la pensione ha privato dell’impegno quotidiano del lavoro e gettato in uno stato irritabile e simil-depressivo, diviene protagonista di un atto di resistenza: nella scelta di non denunciare il ragazzino delinquente piombato sul suo tetto, ma d’insegnargli invece a riparare quel che ha rotto mostra di non voler credere alla bugia ‘educativa’ più grande, quella, cioè, che punire e relegare sia meglio che dare fiducia e spingere alla vita.

In questa riflessione più intimista che cadenza l’andamento adrenalinico del thriller sembra risiedere allora la grazia principale di un film denso, ma non del tutto sbozzato che mette in scena il disgelo emotivo di un uomo tornato a vivere nell’esercizio della trasmissione e, nel fare ciò, ha il merito indiscutibile di sottolineare senza moralismi le fratture di una società in cui il culto di un eterno presente di opportunità da cogliere con famelico precipizio ha reso l’esperienza un disvalore e condannato i tempi lunghi dell’educare al disprezzo collettivo.

L’educazione di Rey è nelle sale a partire dal 4 aprile.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

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