Joker: ma che film è?!

Analisi a posteriori del Joker di Todd Phillips, il film più discusso dell'anno e vincitore del Leone d'Oro alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia.

Materia straordinaria il cinema.

Fluida, controversa e volubile. Il centro di gravità (non) permanente intorno al quale si può osservare orbitare uno dei sistemi più grandi, colorati ed eterogenei che si conoscano. Tutti quanti, a tutti i livelli e facenti parte dei più svariati campi, hanno, più o meno a ragione, voce in capitolo. Figurarsi quindi se non si esprimono. Da questa condizione naturale tale sistema eredita la sua grande collezione di umori, nella quale si può facilmente passare dallo spettatore più esaltato, che non riesce ad uscire da un film, all’addetto ai lavori più disincantato, che ti dice “State calmi. In fondo è solo cinema“. Un tavolo di confronto che diventa presto, capirete bene, terreno di scontro, anche sentito, persino sprezzante.

Cinematographe.it presenta Joker di Todd Phillips

Ora. Quando nelle sale arriva un film evento come è Joker di Todd Philips, la cui natura fluida rispecchia in pieno quella del cinema, questo ecosistema già bollente esplode e, invece di collassare su se stesso, si espande in modo incontrollabile, tanto da toccare, in maniera più o meno invadente, altre galassie vicine e lontane.

Joker è un film complesso, per il quale Phillips decide di prendere un personaggio che da sempre smuove tantissimo, perché la nemesi di Batman ha tanta letteratura dietro, come e quanta ne ha il Cavaliere Oscuro, e di renderlo protagonista di un film di analisi interiore, per di più affidando il ruolo a Joaquin Phoenix, il quale ne fa un ritratto talmente reale da essere impossibile non prenderlo in considerazione, liberandone così l’enorme potenziale. Quello che si crea viene chiamato da illustri scienziati e pensatori contemporanei “effetto domino diversificato ad ampio raggio“.

Joker: tutte le domande senza risposta nel film

Pensate a tutte le voci che normalmente si aggirano nel sistema descritto in uno stato dormiente, e, dopo la detonazione, moltiplicate il numero che avete in mente per pi greco ed elevatelo al quadrato del numero di ambiti, contesti e settori che vengono invasi. Vi state facendo un’idea della normalità che c’è dietro l’isteria collettiva, la preoccupazione delle autorità per le proiezioni, le accuse di legittimazione della violenza, lo snobismo dell’Accademy, ma anche di una richiesta come quella di boicottare il film per l’uso di una canzone di Gary Glitter?

Questa formula, miei cari, dimostra senza margine di errore, che, una volta scoperchiatosi il vaso di Pandora, non si tratta mai solo di cinema.

Joker è un cinecomic?

Joker, cinematographe.it

Se n’è parlato tantissimo, sia in relazione alle aspettative dei fan sia in relazione alla “storia” del genere. Quali sono i parametri che rendono un film, un cinecomic? Se può fare parte del DCEU? Se può essere il punto di partenza per una nuova era di film sui fumetti? Se il logo della DC è presente all’inizio o alla fine della pellicola? Se c’è una scena post-crediti? Se da qui in poi la Marvel lo scimmiotterà? Oppure è il budget? La regia? La profondità del personaggio? I meccanismi della storia? Il ritmo della trama? I nomi dei produttori? Come la pensa la critica? Come la pensa il pubblico?

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Quello che si può dire senza ombra di dubbio è che Joker ha un rispetto e una considerazione notevole per il mondo da cui prende spunto. Lo si evince dall’importanza dedicata alla famiglia Wayne nella stesura della storia, nonostante l’assenza del pipistrello, dai riferimenti a The Killing Joke (“È stata una brutta giornata” dice Arthur a proposito della sua visita ad Arkham) e a Il Ritorno del Cavaliere Oscuro (al quale la scena del Murray Franklin Show, in cui il Joker si rivela al mondo, sembra essere un chiaro omaggio), e perché potrebbe benissimo essere una storia di origini, non solo per il protagonista, ma per Batman stesso. In più, cosa da non sottovalutare, quello che vediamo sullo schermo non è un pazzo con la mania dei clown, ma proprio il Joker, il pagliaccio del luna park degli orrori. Forse più di quello di Nicholson (splendida macchietta fuori dal tempo) e di quello di Ledger (straordinaria rappresentazione filosofica di un agente del caos che troverebbe la sua compagnia ideale nei drughi di Arancia Meccanica).

Joker, cinematographe.it

Phoenix perde 25 kg, si guarda il Mago di Oz, passa una quantità innumerevole di tempo a studiare i comportamenti delle persone affette da schizofrenia e compie un miracolo recitativo. Impresa che non passa per le azioni elencate, ma dalla capacità di portare nel mondo reale il personaggio, di entrare nella sua mente, di ricreare la sua attitudine, il suo disagio, il suo fascino perverso e anche di farci intravedere la sua umanità. Sono impressionanti e disarmanti le scene in cui, spiato dalla telecamera nella privacy delle sue stanze, Arthur non si preoccupa di trattenere le manifestazioni della sua malattia.

Joker, Arthur Fleck e Joaquin Phoenix tra omaggi, citazioni ed easter eggs

La trasformazione viene ultimata quando ci rendiamo conto che davanti a noi è comparso il mostro. Non un simbolo, non un portavoce, non un oggetto filosofico, ma una caricatura di un uomo senza più regole, paure, sogni, speranze e affetti. La cui tragedia personale è trovare divertente solo distruggere qualsiasi cosa voglia.

Joker è un film politico?

Come potrebbe non esserlo? Phillips e Phoenix si sono prodigati a Venezia nel ribadire come non lo fosse, come non fosse pensato per esserlo, come, a prescindere da qualsiasi cosa si fosse attribuita al film, “vi prego, non chiamatelo un film politico.

Eppure Todd Phillips è un regista consapevole. Se qualcuno ha dei dubbi può rivedere lo scioglimento della scena in cui Phoenix si infila dentro l’appartamento di Beetz e figlia e, con aria serena, imita il Travis di De Niro mentre fissa con sguardo sornione la ragazza. Ricordate? Non si vede quello che succede all’interno dell’appartamento, una scelta che consapevole lo è sicuro (e anche molto azzeccata).

Joker: la colonna sonora del film con Joaquin Phoenix

Joker, cinematographe.it

Non si può quindi non pensare che non sapesse che prendere un personaggio di quelle dimensioni, affidarlo ad un interprete che da 15 anni non sbaglia mai e calarlo in una dimensione da cinema americano neohollywoodiano, che fu della generazione degli anni ’60, ma che arrivò forte e chiaro nella filmografia di autori come, per esempio, Scorsese (non a caso eh?), avrebbe aumentato l’eco del suo lavoro a dismisura.

Joker (2019): la spiegazione del film con Joaquin Phoenix

Come è ormai risaputo, Scorsese è stato il primo produttore della pellicola, ruolo che poi ha deciso di lasciare, non senza dare a Phillips il lasciapassare per attingere al suo materiale filmico, cosa che è successa, chi lo nega ha visto un altro film.

Andando oltre la presenza di De Niro, troviamo delle vicinanze in questo senso sia dal punto di vista strutturale sia da quello “spirituale” della pellicola. Perché la trasformazione di Arthur passa da un abbandono e una trasfigurazione che ricordano il Jake LaMotta di Toro Scatenato, così come i riferimenti alla sofferenza personale e all’abbandono sociale richiamano chiaramente la deriva psicologica del già citato Travis di Taxi Driver, dalla cui atmosfera urbana Joker pesca a piene mani per riportare al pubblico quel tessuto sociale che ansima e ribolle, insofferente al tempo, alle stagioni, alle guerre, alle donne, alle belle macchine e agli abiti firmati. In attesa di inghiottire tutti coloro che si ergono fieri e moralisti sopra di lui. Un personaggio umorale e parlante le cui emozioni e voglie si fondono con i suoi abitanti, fantasmi che si trascinano lungo le strade (o le scalinate) deserte, dimenticate e senza nome così come dimenticati e senza nome sono loro.

Joker, cinematographe.it

Ma è nel terzo atto che il film di Phillips supera se stesso riprendendo il filo conduttore che fece le (s)fortune di Re per una notte al momento dell’uscita e che, come spesso capita, gli ha permesso di essere rivalorizzato anni dopo. Scorsese in quel film dimostrò come un buffone vuoto, violento e senza morale potesse elevarsi e fare le veci del più grande dei comici, riuscendo a nascondere l’assenza di spirito con una performance strabiliante. Una critica, neanche troppo velata, alla politica spettacolarizzata, come quella che fu di Reagan, il presidente/attore che sorrideva alle telecamere e intanto tagliava i fondi ai sindacati e spingeva gli afroamericani sotto la soglia di povertà. Un canovaccio politico che è drammaticamente tornato ad essere di strettissima attualità ai giorno nostri.

Joker (2019): danza e follia nell’interpretazione di Joaquin Phoenix

Arthur va oltre, mostrandoci come l’eccellente performer può imbrogliare il pubblico sui contenuti della sua performance anche trovandosi dall’altra parte della barricata. Quella “giusta”, dove sta la vittima e non il carnefice.

Il movimento che prende il clown assassino come simbolo vuole rivendicare una sua dignità umana, denunciando un vuoto e un’alienazione sociale non più sopportabile, ma tutto quello che il suo portavoce riesce a manifestare sono una rabbia e una violenza famelica e insaziabile, alienante e insopportabile quanto e come la società/orco, madre di tutti i problemi. Una bestia cresciuta in casa, la cui vicenda personale, legata all’abbandono nelle mani di una madre adottiva con quelle problematiche, è la cosa più politica del film.

Joker è una tragedia o una commedia?

Joker, cinematographe.it

È così difficile essere sempre felici.

Dalla prima lacrima versata da Arthur davanti allo specchio fino al suo balletto sulle note di That’s Life, assistiamo alla demolizione emotiva e psicologica di un essere umano. Il clown è l’elemento più drammatico della pellicola e il suo sorriso ne è il cuore.

Un bambino “nato per poter portare gioia e felicità al mondo“, la cui risata è diventata patologica, simbolo del suo malessere e del suo abbandono. Ed è proprio la decisione di Arthur di assecondare la voce della sua anima la svolta della sua trasformazione. Una risata sinonimo di un pianto. La discesa consapevole nell’oblio in cui si abbraccia una natura fuori posto e antitetica per definizione, perdendo ogni contatto con la propria umanità e il proprio io.

Joker: le iconiche scale del film “destinazione religiosa” su Google Maps

Una barzelletta amara, una barzelletta che fa piangere, una battuta nera come la pece, che è l’ultimo pensiero che vediamo formarsi nell’uomo che era convinto di essere Arthur Fleck e il modus operandi principe del Joker.

Il verdetto dunque? Joker è un film politico? Un cinecomic? Un film d’autore mascherato da altro? Un capolavoro? Un bluff? Una commedia o una tragedia? Una commedia tragica? Una tragedia comica? Ai posteri l’ardua sentenza. Quello che possiamo dire, visti gli tutti gli elementi nelle nostre mani e senza possibilità di smentita, è che Joker di Phillips sia un film serio.

Scusate la battuta infelice.