Jodorowsky’s Dune: recensione del documentario di Frank Pravich

Al cinema il documentario di Pravich sul leggendario Dune di Jodorowsky, film pensato (in grande) e disegnato, ma mai realizzato.

Distribuito da Valmyn e Wanted Cinema, Jodorowsky’s Dune esce nelle sale italiane il prossimo 6 settembre, ben otto anni dopo la sua presentazione al Festival di Cannes, in anteprima alla Quinzaine des Realizateurs. 

Diretto da Frank Pravich, il documentario ricostruisce, con scrupolo filologico, la genesi di un film mai realizzato (e della sua leggenda): Dune, ispirato all’omonimo ciclo di romanzi fantascientifici dello scrittore statunitense Frank Herbert e concepito dalla mente visionaria di Alejandro Jodorowsky.
Quest’ultimo, artista cileno di nascita e parigino d’adozione, a metà degli anni Settanta è reduce un insperato successo con il western underground, tanto spiritualista quanto violento, El topo (1971), film prediletto da John Lennon, e con il successivo La montagna sacra (1973). Da drammaturgo squattrinato, è divenuto regista di culto, genio da assecondare a qualsiasi costo.

Dune non è soltanto il sogno di Jodorowsky, ma anche quello di un produttore che rifiuta di pensare limitati i suoi soldi 

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Dune: film disegnato (e mancato).

Il produttore Michel Seydoux – il cognome vi farà pensare alla più celebre Léa, e infatti è il prozio – si innamora artisticamente di lui e gli mette a disposizione un budget pressoché illimitato affinché porti a termine una nuova creazione, qualunque essa sia. Seydoux accarezza il sogno di liberare le esigenze dell’arte dalla tirannia delle risorse materiali, di diventare pioniere di un mecenatismo dalla generosità sconfinata, che non conta i soldi perché rifiuta di accettare di non poterne offrire all’infinito.

Jodorowsky inizia, così, senza alcuna preoccupazione prosaica, a lavorare al riadattamento del romanzo Dune, immaginando di trasformare l’epos mistico-fantascientifico di Herbert in un’esperienza estetica assimilabile all’estasi psichedelica da allucinogeni. Nella sua intenzione il cast del film avrebbe dovuto includere personalità del calibro di Orson Welles, Mick Jagger, Salvador Dalí e sorreggersi su una colonna sonora a firma dei Pink Floyd. Tuttavia, dell’ambizioso progetto oggi rimane solo un librone di bozzetti, poi trasformato da Moebius in graphic novel.

Nicolas Winding Refn, uno dei pochi fortunati ad avervi posato gli occhi, convocato a testimoniare dal regista del documentario, sostiene l’importanza di cambiare prospettiva d’osservazione: il film, in verità, è stato realizzato, anche se nessuno può vederlo. Esiste nella mente del suo creatore e nelle tracce di quelle visioni che i disegni preparatori restituiscono. Basta, dunque, questo a fare l’opera d’arte: il desiderio che sospinge l’aspirante creatore, che alimenta la sua immaginazione, che amplifica la sua ambizione, dilatando all’infinito le possibilità dell’atto demiurgico.

Un documentario che ricostruisce la storia di un film mai realizzato, ma sopravvissuto come leggenda di un incompiuto fondamentale per la storia del cinema

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Alejandro Jodorowsky, drammaturgo, regista, attore e scrittore cileno naturalizzato francese classe 1929

Così, Jodorowsky’s Dune non soltanto raccoglie i contributi di quanti furono coinvolti nell’avventura immaginativa e desiderativa di Dune, predisponendo, tassello dopo tassello, una storiografia del mai accaduto, ma, sebbene non programmaticamente, invita lo spettatore anche a interrogarsi intorno alla sua concezione dell’arte: serve il prodotto artistico compiuto – un film, un libro, un quadro – a definire l’atto artistico? O è piuttosto questione di inclinazione, di disponibilità a sognare di realizzarlo? 

Una chiave interessante ce la offre Amanda Lear, al tempo dell’edificazione progettuale compagna e musa di Dalí, quando suggerisce, sì sommessamente ma nondimeno incidendo il graffio, che forse, per l’artista, è proprio l’assenza di limiti materiali a delineare il limite maggiore alla concretizzazione dell’aspirazione, a inibirne la progressiva evoluzione in opera d’arte. 

Sembra paradossale, ma forse non è artista chi rigetta la castrazione e insiste nel conservare l’illusione di un confronto alla pari con la divinità, ma chi, nonostante la castrazione e nonostante il processo di traduzione da idea a oggetto percepibile attraverso i sensi – la visione mentale che diviene visione estetica; film non più solo pensato, ma anche visibile – incontri sempre e inevitabilmente l’imperfezione e il tradimento del gesto umano, riesce ad accogliere il limite e a sublimarne la paura che suscita, il diniego ad accettarlo.

Tuttavia, le parole di chiusura affidate allo stesso Jodowosky autorizzano a non vergognarsi della propria ambizione e ad attribuire sostanza anche a ciò che non è mai venuto alla luce, anche a ciò che è esistito solo nello spazio dell’immaginato. Il film vive, nonostante non sia mai nato; resiste come possibilità abortita, anch’essa espressione dell’inestinguibile desiderio generativo proprio dell’artista, desiderio che è, in fin dei conti, ciò che lo distingue dall’uomo comune.

Jodorowsky’s Dune è al cinema dal 6 all’8 settembre 2021, distribuito da Valmyn in collaborazione con Wanted Cinema.

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Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.9