Venezia 78 – Illusioni Perdute: recensione del film di Xavier Giannoli con Xavier Dolan

Tratto dal romanzo di Honoré De Balzac, Illusions Perdues di Xavier Giannoli racconta il fallimento sociale ed esistenziale del giovane Lucien Chardon, sullo sfondo della Restaurazione francese. 

Dall’omonimo capolavoro di Honoré de BalzacIllusions Perdues – Illusioni PerduteXavier Giannoli trae l’ispirazione per una trasposizione cinematografica presentata in concorso nella 78ma edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. La Commedia Umana, scritta dal drammaturgo francese tra il 1837 e il 1843 e pubblicata in tre parti (I due poetiUn grande uomo di provincia a Parigi e Eva e David), anticipa con una geniale fermezza e una palpabile lucidità espressiva il dramma della contemporaneità: la letteratura non è pane, ma pena per le bocche asciutte di chi la investe di una valenza altra che non sia il puro diletto. Tra fake news e bagarre intellettuali, la corruzione infesta anche gli animi più puri, barattando l’integrità con la mistificazione della verità.

Con Benjamin Voisin, Xavier Dolan, Vincent Lacoste, Cécile de France e Gérard Depardieu, il film è al cinema dal 30 dicembre 2021 con I Wonder Pictured e Unipol Biografilm Collection. 

Benjamin Voisin interpreta il letterato Lucien Chardon in Illusioni Perdute, un film di Xavier Giannoli

Xavier Giannoli cinematographe.it

Nella Francia della Restaurazione Lucien Chardon (Benjamin Voisin) è un tipografo orfano, un poeta che aspira a conquistare il consenso dell’aristocrazia intellettuale attraverso letture pubbliche dei suoi scritti. La protezione della mecenate, e amante, Louise de Bargeton (Cécil De France) non è sufficiente da sola ad imporre un giudizio incorrotto della società aristocratica, sempre più impegnata nel vantare pettegolezzi di corte, elitarismo sociale e giochi di potere. Quando da Angoulême la coppia si sposta verso Parigi, l’amore, le aspettative e le illusioni del ragazzo si infrangono contro la parete dissacrante e spietata del giornalismo, estraneo al lirismo e alla suggestione dei poemi e più vicino ad un’arena mediatica in cui tutti sono soliti vendersi al miglior offerente. Ad iniziarlo all’ambiente, è il suo Virgilio Etienne Lousteau (Vincent Lacoste), coetaneo già integrato che non nasconde al compagno le brutture e la mercificazione con cui scendere a compromessi nella tortuosa scalata al successo. Lucien scopre presto i meccanismi manipolatori delle grandi testate, che al contempo nutrono e si nutrono per gentile concessione delle folle acritiche. La decadenza sociale del giovane si profila nell’alternarsi progressivo di diverse fasi esistenziali cui fa da sfondo il rapporto semi-conflittuale del giovane con l’amico Nathan (Xavier Dolan), sua nemesi e figlio della Monarchia.

Il potere delle parole: il privilegio delle sfumature nell’arte della critica

Xavier Giannoli cinematographe.it

Spesso i personaggi peggiori abitano i posti migliori. Nell’analisi sagace di Balzac, riproposta nella pièce di Giannoli con garbo e fedele realismo (degno di nota il lavoro di indagine storica compiuto dal costume designer Pierre-Jean Larroque), spicca la sempreverde questione della veridicità della fonte. Nel mestiere del giornalista, la deontologia impone un incontrovertibile rigore morale della penna, che si auspica incorruttibile e devota all’autenticità dei fatti. Nell’800, analogamente alla contemporaneità, il giudizio dell’opinione pubblica è l’unico parametro di resistenza esistenziale: un’opera d’arte, un film, un atto creativo non hanno dignità ontologica se non sono legittimati a sopravvivere dal giudizio salvifico di chi osserva. Per questa ragione la critica è di vitale importanza, perché ad essa soltanto spetta il compito di salvare o demolire il genio. Al di là di ogni valutazione, la critica è un’arma nelle mani di chi è disposto a servire il miglior offerente, un ventaglio di infinite possibilità lessicali che avverano sorti differenti a seconda della nuance allusiva che chi scrive decide di conferire al proprio verdetto. 

La debolezza di alcune scelte registiche, prima tra tutte la volontà di anticipare l’intero arco narrativo tramite l’impiego di un voice over a tratti soffocante, non compromettono la godibilità di un’opera che trascorre piacevolmente nonostante l’importante estensione temporale (144’). Cessare di sperare è l’unico modo per ricominciare a vivere, nel presente, nel vero: aver visto tutto, aver vissuto tutto, questo il monito della critica per le penne che continua a forgiare.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 1.5

2.9