Il tesoro della Sierra Madre: recensione del film di John Huston

Recensione de Il tesoro della Sierra Madre (1948), manifesto del cinema avventuroso e di nobili sentimenti di John Huston, un'epica (mancata) ormai divenuta leggendaria grazie a un formidabile Walter Huston e a un Humphrey Bogart in un ruolo difficile e multidimensionale. 

Sfolgorante, iconico, divenuto ormai leggendario tra gli appassionati di cinema (e non solo) Il tesoro della Sierra Madre – film del 1948 diretto da John Huston con protagonisti Humphrey Bogart, Walter Huston e Tim Holt – rappresenta certamente una delle opere cinematografiche più rilevanti del cinema moderno americano, nonché quello che da pubblico e critica è unanimemente ritenuto come il capolavoro di Huston (Il mistero del falco, Gli spostati) – il manifesto del suo cinema avventuroso e di sentimenti nobili d’amicizia virile e d’amore.

Tratto dall’omonimo romanzo di B.Traven del 1927 – da cui la Warner Bros acquistò i diritti nel 1941 e vincitore di tre Oscar nel 1949 tra cui miglior regia, miglior sceneggiatura e miglior attore non protagonista a Walter Huston (padre del regista, titano dell’epoca d’oro del cinema hollywoodiano) – Il tesoro della Sierra Madre ebbe una lavorazione elaborata e fortemente travagliata.

Per Jack Warner infatti, l’unico uomo in grado di portare in scena peripezie sulla Sierra Madre di Fred Dobbs era senza alcun dubbio John Huston, uomo di fiducia dello stesso Warner che diede il là alla carriera di Humphrey Bogart in un susseguirsi di piccoli gioielli cinematografici come Il mistero del falco (1941) – pellicola d’esordio di Huston L’isola di corallo (1948) e La regina d’Africa (1952) con Katherine Hepburn come co-protagonista, grazie a cui Bogart arriva al tanto agognato Oscar al Miglior attore protagonista.

Ciononostante però, al tempo dell’acquisizione dei diritti, John Huston era stato spedito al Fronte assieme ai colleghi William Wyler, John Ford e Frank Capra; si dovette così aspettare il suo rimpatrio dalla U.S. Army nel 1942 per iniziare a discuterne. La pre-produzione de Il tesoro della Sierra Madre non iniziò prima di quattro anni più tardi, nel 1946.

Il tesoro della Sierra Madre: il curioso caso di Bruno Traven e Hal Croves

John Huston, grande fan dell’opera letteraria di Traven, si mise subito al lavoro sulla sceneggiatura scegliendo di mantenere gran parte dei dialoghi del romanzo originale e, per rimanere il più fedele possibile allo spirito de Il tesoro della Sierra Madre, contattò lo stesso Traven per iniziare a progettare insieme la trasposizione cinematografica. Venne così organizzato un incontro con lo scrittore ma, il giorno stabilito, lo scrittore non si presentò.

Pochi giorni dopo Huston fu contattato da un certo Hal Croves che diceva essere l’agente letterario di Traven il quale consegnò al regista americano una lettera in cui lo scrittore spiegava che a causa del suo precario stato di salute lo aveva incaricato di rappresentarlo. Croven fu assunto dalla Warner Bros come consulente tecnico, ma Huston – come in ogni buona sceneggiatura che si rispetti – ebbe sempre il sospetto che Croves e Traven fossero in realtà la stessa persona. Il sospetto arrivò alla stampa e l’agente si indignò a tal punto da sottolineare, con un comunicato, che i 150 dollari a settimana che riceveva dalla produzione non erano all’altezza della fama del suo assistito.

Fuga per la vittoria: recensione del film di John Huston

Per il ruolo da protagonista ne Il tesoro della Sierra Madre la Warner nel 1942 pensò inizialmente a Edward G.Robinson, ma quando il progetto venne riavviato nel 1946 il regista Huston convenne che Humphrey Bogart – forte di una crescente popolarità acquisita tra Casablanca (1942), Acque del sud (1944) e Il grande sonno (1946)  nonché una specializzazione per i ruoli avventurosi/esotici –  era il più adatto per la parte di Fred Dobbs. La prima scelta di Huston tuttavia, al tempo in cui lesse il romanzo di Traven nel 1936 era il proprio padre Walter ma dodici anni dopo dovette ricredersi per evidenti ragioni produttive, riservandogli così, quella del bonario cercatore d’oro Howard.

L’idea non piacque né a Walter Huston – che si mostrò preoccupato per come ne avrebbe risentito la sua immagine né tanto sicuro di essere in grado di interpretare il burbero cercatore d’oro – né allo stesso Traven avrebbe preferito un attore più anziano così che per renderlo più credibile John riuscì a convincerlo a recitare senza la dentiera. Huston jr ebbe ragione, tanto che il padre Walter vinse l’Oscar contro lo scetticismo dello scrittore.

il tesoro della sierra madre, cinematographe.it

Il tesoro della Sierra Madre: la trama

Il tesoro della Sierra Madre, ambientato in Messico nel 1925, racconta di Fred C. Dobbs (interpretato da Humphrey Bogart) e Bob Curtin (interpretato da Tim Holt) due americani senza un soldo che tentano di sbarcare il lunario a Tampico. Dopo essere stati raggirati con promesse per un lavoro impegnativo ma mai pagato, Dobbs e Curtin si fanno convincere dall’anziano ex minatore Howard (interpretato da Walter Huston) ad andare sulle montagne messicane in cerca dell’oro.

Grazie alla vincita di Dobbs ad una lotteria, i tre riescono a finanziare la spedizione. Inizialmente la ricerca sulle alture della Sierra Madre si rivela più dura del previsto per Dobbs e Curtin, ma grazie all’esperienza di Howard riescono finalmente a trovare una vena aurifera.

Il tesoro della Sierra Madre – l’epica mancata di Dobbs, un self-made-man decadente in continua evoluzione

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Il tesoro della Sierra Madre si compone di una struttura narrativa dall’intreccio apparentemente semplice ma in realtà in continua e graduale evoluzione, i cui archi narrativi si dipanano linearmente in un ritmo dall’andamento veloce e risoluto –  pellicola, in tal senso, piena espressione di quella fase di transizione tra cinema classico e moderno – figlia quindi di una linearità ineluttabile e funzionale per un’audience giovane, fresca, ancora poco incline alle sperimentazioni narrative di Orson Welles e il suo rivoluzionario Quarto potere (1941).

Ne consegue infatti che molti degli eventi che determinano le svolte narrative all’interno dell’intreccio sviluppatosi in Il tesoro della Sierra Madre, sono semplicistici, ingenui, frutto di una visione esotica del self-made-man del cinema di Frank Capra, ma necessarie e funzionali allo scopo prefissato da Huston.

Per una pellicola che, a fronte di una strutturazione narrativa lineare e semplicistica, gioca forte sulle emozioni, e sull’evoluzione graduale della paranoia del Dobbs di Humphrey Bogart e dalla bonarietà e risolutezza dell’Howard di Walter Huston. Disegnando così un’epica di (mancata) rinascita e caduta di individui disadattati in cerca di fortuna, ma arsi vivi dall’avidità –  denotando così in Il tesoro della Sierra Madre un forte elemento innovativo nel presentare personaggi multidimensionali, in continua evoluzione scenica, come nel caso di Dobbs.

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La regia di John Huston si basa principalmente su inquadrature strette fatte di piani medi, piani americani, particolari e dettagli, che da subito ci permettono di individuare la caratterizzazione del Fred Dobbs di Bogart, un americano in cerca di fortuna in Messico tra elemosina e lavori raccattati di manovalanza da 8 dollari l’ora – mai pagati.

Huston disegna così l’epica (mancata) di Dobbs un uomo comune e sfortunato, umile, che cerca di farsi strada nella vita in modo certamente non dignitoso ma di sicuro onesto, e che troverà nella ricerca dell’oro uno scopo, una ragione per ricostruirsi come individuo per poi cadere gradualmente nel baratro della paranoia; per una regia solida, pulita, che lascia poco spazio all’ambiente circostante – indubbiamente esotico e affascinante – ma che rimane sullo sfondo per concentrarsi principalmente sull’essenziale e sull’espressività dei volti e dei sentimenti in gioco.

Il tesoro della Sierra Madre – l’oro, l’avidità e la crescita esponenziale dei conflitti scenici

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L’oro in tal senso, declamato dall’Howard di Walter Huston come perenne fonte di guai in apertura di pellicola, è l’autentico co-protagonista de Il tesoro della Sierra Madre. L’oro infatti cambia le persone, genera avidità rendendo così le persone meschine, ridicole, e pronte a tutto pur di accaparrarsene il più possibile, anche uccidere, perché in fondo: “Mai visto un cercatore d’oro morire ricco, se ha fortuna se la mangia cercando di fare dei frutti.”

Più se ne ottiene e più si cerca di averne ancora, come alla roulette, e in Il tesoro della Sierra Madre infatti, l’oro diventa funzionale come obiettivo da raggiungere e giustificazione narrativa, permettendo così a Huston di seminare piccoli conflitti e contrasti tra i protagonisti nel modo di rapportarsi ad esso, in una pellicola (apparentemente) buonista e di speranza ma che nasconde un animo buio e tetro.

I procedimenti volti al ritrovamento dell’oro, le mappature del terreno, il crear miniere e gli inevitabili imprevisti in un’avventura del genere, permettono a Huston di giocare con l’animo dei personaggi in scena, a partire dal Dobbs di Bogart che da sprovveduto si scopre ansioso, paranoico, pronto ad accaparrarsi sempre più oro e fortemente attaccato ai beni materiali; all’Howard di W.Huston che invece è serafico, pacato, meticoloso, pacifico, che vede la ricerca dell’oro non come una dipendenza, piuttosto come un passatempo per gli ultimi anni di vita che altro.

Un personaggio umano e dall’animo buono, consegnato ai posteri da un Walter Huston straordinario. Emerge infine nel dipanarsi della narrazione il Curtin di Holt, uomo generoso e sereno, autentico collante del gruppo in un susseguirsi di contrasti sempre più crescenti.

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L’oro cambia le persone, l’avidità le rende schiave – si dipana così un sentimento di timore e angoscia in Dobbs che mina l’entusiasmo del gruppo opportunamente attenuato dal saggio Howard, in un crescendo della posta in gioco che porterà Dobbs prima ad autoescludersi nel serpeggiare del dubbio che uno dei suoi compagni lo possa tradire, e poi a far esplodere il conflitto in un delirio di pura paranoia con lo stesso Curtin.

Non bastano l’ingresso (fugace) in scena di Jim Cody (interpretato da Bruce Bennett) prima, e dei banditi di Cappello d’oro (interpretato da Alfonso Bedoya) poi a compattare il gruppo. Bogart porta in scena così un personaggio reso arido dagli eventi, in un totale ribaltamento del ruolo scenico da eroe protagonista a villain manipolatore, paranoico e spietato.

Il tesoro della Sierra Madre – un capolavoro mai scalfito dal tempo, il manifesto del cinema di John Huston

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L’umanità di Howard, la generosità e pacatezza di Bob Curtin, la crescita esponenziale di Fred Dobbs e dei suoi fantasmi da brav’uomo a villain condannato, l’ambientazione sulle montagne messicane, tutti ingredienti che rendono Il tesoro della Sierra Madre – ancora oggi, a settant’anni dal rilascio in sala – un capolavoro incontrastato della filmografia mondiale.

Un’epica (mancata) di rinascita e caduta di individui – perfettamente incarnata dal Dobbs di Bogart – il cui sottotesto emergente ci ricorda di come solo il buon cuore può impedire all’avidità della ricchezza non-guadagnata di mutare l’animo degli uomini perbene.

Regia - 5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 5
Recitazione - 5
Sonoro - 5
Emozione - 5

5