Il ragazzo più bello del mondo: recensione del documentario su Björn Andrésen

Il ragazzo più bello del mondo è un documentario girato con mano sapiente, conscia del suo interlocutore e del mezzo cinema.

Corpo e immagine, i due volti del cinema, facce della stessa medaglia. Da una parte un corpo incarnato, fatto di mente e muscoli, dall’altra la bidimensionalità da copertina. Un vetro separa questi mondi, realtà e finzione. È il vetro dell’obiettivo fotografico, che prima ribalta la luce per poi traslarla in qualcos’altro, un altro da noi. L’anima dell’uomo viene catturata, rubata ai secondi del tempo, e portata su un altro piano dimensionale osservabile per tutti attraverso uno schermo, una pagina, un muro. È la centrifuga dello showbusiness, nel cui vortice molti giovani si sono persi, strappati. Il mondo degli adulti li schiaccia, li osserva sotto una lente d’ingrandimento troppo grande. Pesi e fardelli di un’arte che troppo spesso ha spezzato il corpo e l’anima di piccoli e giovani interpreti. Basti pensare a Judy Garland o a Macaulay Culkin. Lo stesso è successo a Björn Andrésen, il Tadzio diMorte a Venezia, uno dei capolavori di Luchino Visconti tratto dal romanzo di Thomas Mann. È qui che arriva Il ragazzo più bello del mondo, un documentario intimo, freddo e spietato sull’ascesa e la “caduta” di Andrésen.

Il giovane che diede vita, secondo le testimonianze, all’idolatria sfrenata e fu d’ispirazione per il volto di Lady Oscar, l’eroina del manga di Riyoko Ikeda. “Il ragazzo non è del tutto umano, bensì un angelo della morte”, perché davanti alla bellezza pura l’essere umano non può che vedere la morte. Eppure, quella morte “per bellezza” l’ha vissuta egli stesso, che di riflesso ha accusato il colpo più grosso. A cinquant’anni di distanza dalla prima mondiale del film di Visconti, i registi Kristina Lindström e Kristian Petri ripercorrono la storia di un ragazzo prima, e di un uomo adesso, la cui vita è stata stravolta per sempre. Una semplice frase, un apprezzamento gigantesco che ne ha fatto il simbolo di un film. Il ragazzo più bello del mondo, sette parole per cambiare una vita.

Il ragazzo più bello del mondo, la vita e la fama di Björn Andrésen

Il ragazzo più bello del mondo - Cinematographe,it

Disponibile al cinema il 13, 14 e 15 settembre, Il ragazzo più bello del mondo è un documentario maturo, personale e tagliente. La sottile figura del Björn Andrésen adulto ci taglia pianissimo, come un foglio di carta sottile. Ben realizzato sotto quasi ogni aspetto, le immagini di repertorio, le interviste e le scene riscostruite cinematograficamente si mescolano in un unico corpo, quello del protagonista. Gli occhi “grigi e perfetti” (parafrasando Visconti) di Andrésen incarnano il passato e il presente, mentre il suo fisico si affievolisce. Lindström e Petri diventano i suoi confidenti, degli amici che con profonda fiducia lo ascoltano, lo immortalano ancora una volta, ma da una diversa angolazione e prospettiva. È la sua storia, la sua versione dei fatti, la sua vita. Forse, per la prima volta, è Björn Andrésen ha scegliere il come e il perché, e non la massa scalpitante.

Siamo sul piano della realtà soggettiva, certo, ma i fatti si susseguono davanti a noi con profonda verità. Dai night club a quindici anni, alle “pillole rosse” per lo stress, dalle clausole vincolanti ai problemi di droga e alcool, fino alla morte struggente di un figlio. Il ragazzo più bello del mondo non è una caccia alle streghe, non cerca colpevoli e carnefici per vendetta e risarcimenti. È la storia di un uomo che apre il suo cuore a quella videocamera che in passato ne ha rubato il volto. Una riconciliazione, un modo per dare voce a un capitolo della storia del cinema, e del senso di Divismo con la D maiuscola. Visconti diventa così una figura ingombrante, un’ombra che eclissa tutto quanto. Egli è il deus ex machina che ha messo in moto, volontariamente o no, la vita di un ragazzo troppo giovane, inesperto. La nonna, che lo ha cresciuto per essere ciò che doveva essere, e non ciò che voleva.

Un ritratto intimo e tagliente

Il ragazzo più bello del mondo - Cinematographe.it

Il ragazzo più bello del mondo ci cattura con una mano gelida, ci afferra per trascinarci a fondo nel Tartaro di ricordi difficili. Annaspiamo nel dolore di Björn Andrésen, eppure qualcosa ci riporta a galla, a respirare aria fresca. Ed è la speranza, l’amore e l’amicizia di chi gli è stato e gli sta tutt’ora affianco. Sono serviti cinque anni per realizzare quest’opera stupenda, cinque anni di indagini, montaggio e riprese. Tra Parigi, Stoccolma, Budapest, Venezia e Tokyo i due registi hanno rintracciato chi ha lavorato con lui nel corso di mezzo secolo. Immagini, suoni e parole si incastrano perfettamente, come tasselli di un puzzle prima mescolati alla rinfusa. È una regia suadente e delicata, che ci accompagna dall’inizio alla fine. Da questa traspare un rapporto umano e sincero, coltivato in cinque anni di lavoro.

Björn Andrésen lo abbiamo visto recentemente nel Midsommar – Il villaggio dei dannati di Ari Aster, eppure la sua casa in affitto è prossima al collasso. Cumuli di sporcizia e oggetti in decadenza sovrastano il corpo di un uomo che per anni non si è sentito più tale. E allora Il ragazzo più bello del mondo diventa un percorso di rinascita, e la casa prima allo sbando trova nuova linfa vitale. Pareti che si fanno metafora di un periodo, luoghi lontani nel tempo visti attraverso una nuova luce e vecchie conoscenze, che con un abbraccio dicono più di mille parole. Ognuna di quelle persone elabora a modo suo ciò che è successo in quegli anni, gli errori di cui si sono resi colpevoli. Dalla Svezia al Giappone, un mondo intero di voci all’ora inascoltate che adesso dicono la loro. Quello di Kristina Lindström e Kristian Petri è un cinema pieno, che merita d’esser visto.

Il ragazzo più bello del mondo è distribuito da Wanted Cinema, e sarà al cinema il 13, 14 e 15 settembre.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.9