Il 13° Guerriero: recensione di un cult incompreso

Un film che ancora oggi sa catturare, affascinare, con una battaglia finale tra le più epiche di sempre, ed assieme il messaggio chiave della filosofia di vita degli uomini del nord: non conta la meta ma il cammino.

Era il 1999 quando John McTiernan vedeva arrivare sul grande schermo la sua ultima fatica, Il 13° Guerriero, tratto da un bellissimo romanzo fantasy di Michael Crichton e che puntava a dominare il mercato di quell’anno.
Il regista ed il famoso scrittore avevano avuto un rapporto sul set non semplice, lo screen test era andato molto molto male, costringendo la produzione a creare scene aggiuntive, lasciando tutto in mano allo stesso Crichton e al produttore Ned Dowd.
La sceneggiatura di William Wisher, Jr. e Warren Lewis era stata più volte rimaneggiata, modificata, perché assieme alla regia di McTiernan, stando al parere di Crichton, aveva tolto il sapore epico e dark al suo racconto, ed anche per questo i costi aumentarono vertiginosamente.
L’uscita fu ritardata di un anno e mezzo, per permette di girare altre scene, di perfezionare il montaggio e a Jerry Goldsmith di fare un’altra colonna sonora, da sostituire a quella giudicata carente di Graeme Revell.
La diretta conseguenza fu che i costi lievitarono fino al doppio della cifra originaria, toccando i 160 milioni di euro.

Il 13° Guerriero: un viaggiatore arabo tra i vichinghi

L’iter del film, infine, fu abbastanza fedele al romanzo di Crichton, che univa realtà a fantasia, e narrava le immaginifiche gesta dei vichinghi di Ahmad ibn Fadlan, interpretato da un energico e all’epoca lanciatissimo Antonio Banderas
Grande viaggiatore e scrittore arabo (di origine persiana), nel film sul finire del X secolo d.C., si trovava suo malgrado aggregato ad un gruppo di 12 guerrieri vichinghi, capeggiati dal valoroso Buliwyf (Vladimir Kulich), offertisi volontari per una pericolosissima impresa: portare aiuto al regno di Re Horthgar, minacciato da un oscuro terrore che si palesava solo al calare della bruma.
Impaurito, perso tra terre selvagge e sanguinolente, in breve il giovane viaggiatore comincerà un viaggio che lo porterà non solo ad affrontare battaglie e paure, ma anche a comprendere la cultura vichinga, basata su onore, coraggio e ardimento, scoprendo dentro di sé qualità che non pensava di avere.

Un film incompreso e sottovalutato

Il 13° Guerriero, Cinematographe.it

Il 13° Guerriero, poco pubblicizzato e probabilmente carente a livello di cast di altri nomi di richiamo per il grande pubblico (a parte un non molto convinto Omar Sharif), si rivelò un fiasco totale al botteghino, e anche la critica si divise molto nel giudicare un film: da una parte lodò regia, scene d’azione e tono dark, ma dall’altra non sembrò valutare molto la sceneggiatura e trovò il tutto troppo frammentato e discontinuo.
Oggi, a vent’anni di distanza, il 13° Guerriero è stato ampiamente rivalutato per quello che è: uno dei migliori film fantasy degli ultimi 30 anni e soprattutto uno dei migliori di sempre sui vichinghi, di cui emergeva lo spirito indomito, l’ironia, il coraggio ed una visione della vita in cui le parole paura o tentennamento non esistevano.
La fotografia di Peter Menzies Jr. era semplicemente fantastica nel fare della natura e dei suoi elementi veri e proprio protagonisti di un dramma sovente horror, affascinante, ed in cui chiari erano i riferimenti di Crichton alla leggenda di Beowulf, così come alla mitologia e credenze norrene in generale.

Il 13° Guerriero, Cinematographe.it

Un viaggio dentro l’ignoto e la paura

Il 13° Guerriero, oltre ad essere molto curato a livello di regia e maestranze, era anche un film molto poco “hollywoodiano”,  con un cast composto da attori sia inglesi e americani che (soprattutto) europei, in particolar modo nord-europei, che davano vita a personaggi carismatici, di cui i 12 guerrieri uniti nella sorte ad Ahmad, altro non erano che l’omaggio dello scrittore al Samurai di Kurosawa, al Conan di Milius, nonché  ai racconti di Tolkien e Robert E. Howard.
Un elemento poco considerato dalla critica all’epoca fu come il protagonista in realtà compisse un doppio viaggio: dentro le terre di quel nord pericoloso e misterioso, ma anche dentro se stesso.
Il fascino e la paura dell’ignoto si fusero in un’avventura in cui i Wendol (in realtà gli ultimi uomini di Neanderthal) rappresentavano quella mostruosità e mancanza di razionalità, che da secoli popola la fantasia popolare.
Il loro calare con la bruma, il loro essere tutt’uno con l’oscurità e la coprofagia, li rendeva seguaci e simbolo di quelle culture primitive che spaventano l’uomo, l’uomo occidentale in particolare, con la stessa forza con cui evocano la parte più irrazionale e perduta della società.

Il 13° Guerriero, Cinematographe.it

Con scene di battaglie fantastiche e violente, un cast su cui oltre a Banderas, svettavano Kulich, Dennis Storhol per efficacia e carisma, il 13° Guerriero aveva poi nella colonna sonora di Goldsmith una vera e propria perla, che ancora oggi è indicata come una delle migliori del genere.
Essa fu elemento fondamentale di un film che ancora oggi sa catturare, affascinare, che ci donò una battaglia finale tra le più epiche di sempre, ed assieme il messaggio chiave della filosofia di vita degli uomini del nord: non conta la meta ma il cammino, mai giudicare dalle apparenze e, anche se non possiamo decidere il finale della nostra vita, possiamo decidere come interpretarlo. Perché solo gli impavidi saranno ammessi nel Valhalla.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 4

3.7