Ibrahimovic. Diventare leggenda: recensione del film su Zlatan Ibrahimovic

Ibrahimovic. Diventare leggenda è il film sul calciatore svedese Zlatan Ibrahimovic, in un racconto fatto di emozioni e immagini d’archivio che narrano la sua carriera dal 1999 al 2005.

Sole sul tetto dei palazzi in costruzione/ Sole che batte sul campo di pallone/ E terra e polvere e tira vento/ E poi magari piove…”

Cantava così una volta De Gregori nella sua celebre Leva Calcistica del ’78 , forse la canzone italiana sul calcio più famosa di sempre. Per decenni ha accompagnato i pensieri, le immagini, le gesta di grandi campioni, o di semplici amanti del pallone; bella e terribile allo stesso tempo nel narrarci la storia, il vissuto e le emozioni di chi fin da ragazzo aveva fatto di quel pallone rotondo la propria ragione di vita. Anche quando si è diventati “giocatori tristi che non hanno vinto mai/ che hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro/ e adesso ridono dentro a un bar”.

In Ibrahimovic. Diventare leggenda, il bel documentario dei fratelli Fredrik e Magnus Gertten (registi e produttori svedesi acclamati a livello internazionale al Sundance, alla Berlinale e a Toronto) ci troviamo su un altro campo tra palazzi in costruzione, con terra e polvere e sopratutto freddo.

È quello dove ha cominciato a calciare un pallone uno dei giocatori più famosi del nostro tempo: Zlatan Ibrahimovic.
E ben pochi altri interpreti hanno segnato così profondamente il calcio degli ultimi 15 anni, hanno fatto così tanto discutere e hanno attirato pareri così discordanti.

Ibrahimovic. Diventare leggenda

Nei novanta minuti del film non troviamo Zlatan alle prese con Pep Guardiola e il suo tormentato rapporto al Barcellona, né con le decine di gol messi a segno nella sua doppia vita milanese o nell’ultima avventura parigina. Ciò che i fratelli Gertten ci mostrano è invece la prima parte della carriera di Zlatan, il suo faticoso e tormentato percorso dal piccolo club del Malmò FF nel 1999 fino all’arrivo all’Ajax, come il più costoso acquisto della storia del glorioso club dei lancieri.

Lontano anni luce dall’essere un’agiografia, il film ci guida in un viaggio dentro la testa e il cuore di un figlio di immigrati abituato a doversi arrangiare da sempre, a doversi adattare, ad essere ritenuto da tutti uno zingaro, un diverso, un poco di buono.

Il racconto è abitato dagli spettri del passato di Zlatan. Da Mido, ex promessa non mantenuta dell’Ajax, all’ex bad boy Van Der Meyde, da Van Basten a Koeman, da Capello all’ex fidanzata Mia, fino ad arrivare a Luciano Moggi e Mino Raiola.
Il risultato è quantomeno spiazzante e lontano anni luce dalla realtà patinata che viene venduta quotidianamente sul mondo del pallone, perlomeno quello che riguarda Zlatan.

“Se non fosse diventato un asso del pallone” – dichiara Moggi – “probabilmente sarebbe diventato un ladro di biciclette o simili”.

E risulta difficile dargli torto, vista la scarsa propensione agli studi illustrata nel documentario da parte di Zlatan, il suo carattere ribelle, la sua scarsa disciplina, il suo sentirsi al di sopra delle regole e degli altri. Ma tutto questo, durante la visione del film, viene categorizzato come inevitabile conseguenza della grande quantità di solitudine, sofferenza, emarginazione e incomprensione a cui è stato soggetto uno dei numeri nove più devastanti che abbiano mai giocato su un campo di calcio.

1,93 cm per 93 chili di peso, una tecnica sopraffina, forza, potenza, velocità, la capacità di eseguire gesti tecnici al limite dell’umano, più simile a un contorsionista o a una stella del cinema del kung-fu orientale, Zlatan può essere descritto in mille modi. Irriverente, geniale, antipatico, anticonformista, rabbioso, narcisista, altalenante, ambizioso…ma solo uno traspare in modo decisivo dalle immagini del documentario: solo.

Solo Zlatan lo è sempre stato, lo è tuttora in fin dei conti. Era solo quando veniva trattato come un reietto dalla rigida (e profondamente intollerante) società svedese, costretto a trovare il suo universo in una banlieu come tante. Solo nel Malmò, mal sopportato dai puro sangue svedesi, che storcevano il naso di fronte a questo lungagnone dal naso smisurato, sempre pronti a redarguirlo più che consigliarlo.

Zlatan può essere descritto in mille modi

Ibrahimovic. Diventare leggenda

Era solo anche all’Ajax Zlatan, e tra gli olandesi solo Van Der Meyde dimostrava affetto nei suoi confronti, unendosi all’egiziano Mido, ex attaccante di razza oggi sfigurato dall’apatia. Allenamento, mangiare, dormire e stop.

Il tutto con una famiglia divisa, un padre sovente freddo ed esigente e una madre con cui non riusciva a passare tutto il tempo che desiderava. Donne? Solo una breve e sfortunata relazione con una ragazza svedese, con cui tutto finisce ai tempi del primo, disastroso, anno nell’Ajax del supponente Adriaanse. Nulla a che vedere con ciò che si sa delle notti brave di Vieri, Iuliano, Cristiano Ronaldo, Galante o Borriello, a base di feste, donnine facili e luci della ribalta. Solo grigi appartamenti, playstation, qualche film e molto silenzio.

Difficile che un isolamento e una sofferenza del genere producessero qualche cosa di diverso da ciò che è spesso apparso Zlatan: un viscerale, uno che si infiamma in fretta, ossessionato dal riconoscimento della propria bravura e autorità, fragile ed allo stesso tempo possente.

Uno dei tanti meriti di questo film atipico e ben fatto, è proprio quello di aver rivelato la natura sensibile e di fondo probabilmente malinconica di un giocatore dalla forza spaventosa, capace di vincere in ogni campionato, di rendere impotenti intere difese e sopratutto di migliorarsi.

“Ogni giorno si fermava a fine allenamento” – ha ricordato nell’incontro preliminare Fabio Capello – “ero riuscito a toccare le corde giuste e l’umiltà e i sacrifici che gli ho visto fare hanno messo a frutto il talento sconfinato che avevo intravisto in lui”.

Può sembrare sorprendente, ma Ibrahimovic emerge come un giocatore che, se da una parte non è cambiato molto, dall’altra ha saputo diventare un professionista a tutto tondo. Mai un ritardo, mai un chilo di troppo, mai un allenamento lasciato a metà. Una macchina.

Zlatan è diventato leggenda? Si. E non solo e non tanto per la sua classe o potenza. Lo è diventato anche per la sua personalità, la sua genuinità.

Per trovare dei paragoni bisognerebbe tirare fuori il Mike Tyson dei bei tempi o Manos de Pietra Robert Duran (su cui uscirà tra breve il film). Zlatan se ne frega del politically correct, dell’ipocrisia della potabilità mediatica inseguita da un Beckham o un Federer qualsiasi, con cui del resto la sua vita ha ben poco a cui vedere.

Zlatan da sempre manda a quel paese senza problemi i giornalisti, quei calciatori lecchini e paraculati che ti abbracciano in campo e ti pugnalano alle spalle, quelli nati belli e fortunati, le soubrette televisive rifatte che fanno finta di sapere qualche cosa di calcio. Il suo “cazzo guardi?” ancora oggi fa ridere e allo stesso pensare, perché sottolinea ancora come la diversità nella società occidentale spesso sia una condanna ad un isolamento che produce solo danni o rancore, e come lo sport professionistico (così vituperato spesso e volentieri) rimanga un’ancora di salvataggio per le anime perdute.

Ibrahimovic. Diventare leggenda è una produzione Indyca con Rai Cinema in coproduzione con Keydocs, Film I Skane; SVT, VPRO e in collaborazione con Swedish Film Institute, Netherlands Film, Production Incentive. Prodotto da Auto Images – Lennart Ström e WG FILM – Margarete Jangärd, sarà al cinema il 14 e 15 novembre, distribuito da 01 Distribution.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

3.8