Ghiaccio: recensione del documentario di Tomaso Clavarino

La recensione di Ghiaccio di Tomaso Clavarino, sulla vita si sei migranti. Presentato nella sezione Panoramica Doc al Glocal Film Festival 2020.

La tazza di EPCC, le montagne, Bricherasio, una strada statale: con una serie di immagini si apre Ghiaccio, il documentario diretto da Tomaso Clavarino che esplora, attraverso le giornate di sei ragazzi immigrati da Gambia e Sierra Leone, il rapporto tra la provincia italiana e i nuovi arrivati. L’evoluzione della compenetrazione delle culture disegna una curva altalenante che tocca ogni aspetto della vita locale: dall’industria automobilistica dei dintorni di Pinerolo alle preghiere mattutine, dai difficoltosi spostamenti con i mezzi pubblici al sogno di eccellere in uno sport. Cosí le giornate dei sei ragazzi protagonisti si districano tra tutti gli impegni che li hanno accolti in Val Pellice e la loro decisione di formare una squadra di curling. Profondamente intriso di etica sociale e senso di comunione, Ghiaccio racconta come il curling sia entrato a far parte delle vite di sei sconosciuti, accomunati da un viaggio al limite dello stremo e la ricollocazione in una situazione straniante e priva di attaccamento al loro logo natale.

Attraverso piccoli dettagli, il documentario di Clavarino riesce a mettere bene a fuoco il messaggio centrale, vale a dire questa capacità di fare necessità virtù, di rendere cioè quanto di più inaspettato si incontra in qualcosa di nostro e di centrale per le nostre vite, tanto da utilizzarlo per ridare un senso e rintracciare se stessi anche quando lontani dalla nostra zona familiare. Il ghiaccio è per antonomasia quanto di più lontano esiste dal mondo africano e l’accostamento tra il freddo, la scivolosità e il candore del ghiaccio, contrasta in modo disarmante con la pelle scura e il senso di novità con cui i sei ragazzi protagonisti si sono avvicinati a questo sport.

Ghiaccio - Cinematographe.it

Lontano da facili ironie retoriche, Ghiaccio si concentra invece sui protagonisti, li lascia parlare e lascia che siano loro a disegnare l’andamento del racconto, intrecciando grandi problemi a piccoli gesti quotidiani. Il lavoro e la conoscenza di una nuova lingua innescano nuove possibilità per affrontare questioni legali e ottimizzare risorse e spostamenti del quotidiano. Tutto è collegato e ancora di più per questi ragazzi che si fanno forza e ricostruiscono una loro dimensione familiare privata intorno al curling. Le immagini parlano in autonomia, con le figure di Kebba, James, Edward, Seedia, Lamin e Joseph a dipingere una valle conosciuta con colori diversi e con una prospettiva inusuale, di chi si trova in un posto sperduto e dal clima inospitale, dove i gesti e il linguaggio delle persone sono diversi da tutti quanti loro hanno conosciuto finora. In questo senso il curling accompagna le vite dei sei ragazzi per ricostruire un luogo protetto tanto anelato, che li possa sottrarre a molti problemi e che li aiuti a farsi forza per affrontare piccole e grandi sfide quotidiane.

Ghiaccio si concentra su questa sorta di limbo che accoglie i protagonisti, uomini dalle vite sospese, che rendono l’attesa e l’incertezza un luogo familiare e accogliente grazie a uno sport agli antipodi rispetto al loro mondo e che, arrivato agli occhi del grande pubblico decisamente in sordina, attira di per sé la simpatia di molti. La scelta del regista è nitida, capace di concentrarsi sul fulcro centrale e di comunicare attraverso di esso un mondo di concetti o, per meglio dire, sei mondi celati nelle vite di ognuno dei ragazzi protagonisti. Alla fine dei conti, inaspettatamente, proprio il ghiaccio potrebbe essere l’elemento grazie a cui redimersi e inaugurare una nuova fase delle loro vite.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Sonoro - 3
Fotografia - 3
Emozione - 4

3.6