Park Chan-Wook: le 5 opere fondamentali del Quentin Tarantino orientale

Park Chan-Wook è considerato il Quentin Tarantino della Corea del Sud. Eroe cinematografico non sufficientemente celebrato, Park ha avuto un’ enorme influenza su una miriade di registi americani, grazie alla sua maestria nel miscelare spunti terrificanti e commedia dark, senza soluzione di continuità, portando lo spettatore a ridere di qualcosa che, normalmente, non avrebbe considerato nemmeno accettabile, figuriamoci divertente.

Nato a Seul il 23 agosto del 1963, Park Chan-Wook è noto per la realizzazione di opere definite di sfruttamento (film d’exploitation), perché considerate povere nella forma e mirate ad attrarre il pubblico attraverso una messa in scena portatrice di messaggi forti ed espliciti.  Ma non è questo il modo in cui il regista coreano considera se stesso. Park Chan-Wook cerca semplicemente di tirare fuori emozioni dai suoi spettatori, perché- a suo avviso – non ha senso guardare un film che lenisce solo i nervi.

Ispirati alle opere di Teresa Raquin e Franz Kafka, i film di Park Chan-Wook vantano spesso l’unione armonica e sublime di più linee narrative, con uno stile che ricorda più un’opera letteraria che cinematografica, ricco di forti elementi surreali e noir, tavolozze vivaci che rendono affascinanti anche le immagini più grottesche.

L’ultimo film di Park Chan-Wook, Mademoiselle (The Handmaiden), è un adattamento del romanzo di Sarah Waters, dal titolo Fingersmith, ambientato in epoca vittoriana.

La versione del film di Park Chan-Wook si svolge in un tempo più recente, in particolare durante il governo giapponese della Corea. In attesa dell’arrivo del film nelle sale cinematografiche italiane-  dopo il passaggio in Concorso alla passata edizione del Festival di Cannes –  continuate a leggere per scoprire alcune delle gemme più luminose della filmografia di Park Chan-Wook, o per rivisitare degli amati classici già presenti sugli scaffali della vostra cineteca personale.

Park Chan-wook: 5 film da ricordare o recuperare

Thirst (Bakjwi) (2009)

Park Chan-Wook

In un approccio insolito ma affascinante al vampirismo, un uomo si trasforma in un membro dei non morti nella più improbabile delle circostanze. Padre Sang-Hyeon intraprende un viaggio in Africa per cercare di trovare un vaccino in grado di contrastare una malattia del sangue mortale ma, nonostante le sue buone intenzioni, le cose si mettono terribilmente male.
Quando a questo uomo di chiesa viene inconsapevolmente somministrata una trasfusione di sangue proveniente da una creatura della notte, l’uomo diviene maledetto, acquisendo il dono della vita eterna; condannato eternamente ad essere un mostro confinato alla Terra.

In un primo momento, Sang-Hyeon è felice per la ritrovata libertà, soddisfando la sua sete di sangue e godendosi le esemplificate capacità fisiche ed il rinnovato coraggio con gioiosa curiosità. Tuttavia, quando il suo desiderio finisce per coinvolgere la moglie di un conoscente, lo sventurato neo-vampiro comincia a temere la propria nuova identità, aggrappandosi alla rigida moralità della sua vita passata, che ora sente così irraggiungibile e lontana.

A parte l’ovvia implicazione religiosa, questo racconto stile Moglie di Frankenstein si concentra principalmente sui pericoli di una storia d’amore proibita, e su come indugiare in un reciproco recidivismo possa portare alla distruzione dei presunti amanti.

Lady Vendetta (Chinjeolhan gemmassi) (2005)

Park Chan-Wook

Lady Vendetta è la terza voce nella trilogia della vendetta di Park Chan-Wook, collocata dopo Mr. Vendetta e Oldboy. In un modo molto auto-esplicativo, il titolo rivela lo scopo dietro ciascuno dei film: creare empatia per il mostro, sia per mezzo di una narrazione efficace, che attraverso la visione artistica accresciuta. I mostri non sono nati, sono creati e, rivelando i retroscena ed i pensieri interiori dei suoi personaggi afflitti, Park Chan-wook rivela altresì i percorsi oscuri che hanno portato ciascuno dei suoi figli cinematografici a compiere gli atti distruttivi commessi.

Geum-Ja Lee è una giovane di vent’anni, finita in galera in seguito al rapimento e assassinio di un bambino di sei anni. Nei tredici anni trascorsi in prigione, la donna sembra redimersi, diventando una fervente cristiana ed attirando così l’attenzione dei media. Al suo rilascio, tuttavia, mentre tutti si aspettano un ritorno alla vita quotidiana all’insegna della dolcezza, Geum-Ja rivela nuovamente un’indole spietata e vendicativa.

Attraverso un ombretto rosso sangue, un trench neo-noir, tacchi altissimi ed una elegante pistola, Guem-ja Lee porta in superficie il mostro nascosto dentro sé, oltrepassando il confine fra la terra della purezza ed il buio del castigo divino.

Stoker (2013)

Park Chan-Wook

La madre di India Stoker non potrà mai accettare sua figlia. La donna, infatti, vede qualcosa di mortale che scorre nelle vene di India e, nonostante l’imprescindibile legame biologico, non riesce ad amarla veramente. Un dato di fatto forte e inamovibile che la giovane India non può cambiare, non importa quanto desideri in segreto l’approvazione di sua madre. L’unico controllo che la ragazza può esercitare sulla situazione è accettare tale spiacevole verità, cercando di superarla.

Dopo essere stata violentemente spinta dalla morte del padre ad affrontare l’età adulta, ha inizio la trasformazione di India da bambina a donna, un processo durante il quale la ragazza capirà che crescere significa soprattutto imparare ad accettare le condizioni e circostanze che la vita pone sul proprio cammino.

J.S.A.: Joint Security Area (Gongdong gyeongbi guyeok JSA)

Park Chan-Wook

Le persone tendono a guardare alla storia passata nel più semplice dei termini, al fine di rendere le realtà sgradevoli più facili da comprendere e accettare. Un lato rappresenta  il male e l’altro il bene; un leader è pazzo e l’altro è sano – queste sono le bugie delle quali ci nutriamo per rendere meno complessa l’analisi stressante e spesso dolorosa dei nostri predecessori, paragonando le loro azioni ai personaggi statici in bianco e nero che riempiono i nostri schermi televisivi; un protagonista e un antagonista, niente di più.

Tuttavia, per quanto ci piacerebbe credere che ci sono solo due controparti in ogni guerra – una composta da giusti e l’altra da nemici – la verità è che le dinamiche fra le nazioni sono molto più complesse e una modalità unitaria di pensiero non può essere utilizzata per descrivere la totalità di ogni singola persona coinvolta in una lotta così massiccia.

Prendiamo, per esempio, la storia di due amici, uno arruolato nell’esercito della Corea del Sud, e l’altro in rappresentanza della Corea del Nord. Sono nati in campi opposti, ma grazie ad una strana introduzione in una zona di sicurezza congiunta, i due uomini originariamente addestrati per essere nemici vedono fiorire una profonda amicizia oltre la linea che li divide.

Oldboy (2003)

Park Chan-Wook

Oh Dae-su è isolato in una gabbia fatta di televisione perpetua, carta da parati graffiata e sonno. Sembra trascorsa una vita da quando è stato rapito e gettato in questa stanza, alla vigilia del compleanno di sua figlia, ma, secondo quanto dichiarato dalla scritta incisa ad inchiostro sulla sua mano, sono passati circa quindici anni, poco meno di due decenni.

Improvvisamente, un giorno, l’uomo viene finalmente rilasciato nel mondo – ma la sua libertà ha un prezzo. Ha cinque giorni di tempo per capire chi lo ha imprigionato quindici anni prima, e perché lui o lei lo ha rinchiuso per tanti anni in quella stanza terribile. Lungo il suo percorso di vendetta, Oh Dae-su trova un amico in Mi-do, un cuoco di sushi locale che fa del suo meglio per aiutarlo nella ricerca della verità. Insieme, essi svelano segreti radicati in questioni molto più intoccabili di quanto avrebbero potuto immaginare, e scoprono che la risposta alle loro domande non si trova nella ragione per la quale Oh Dae-su è stato rinchiuso ma, piuttosto, nel motivo per cui è stato liberato.

Basato sull’omonimo manga coreano, Oldboy è probabilmente il capolavoro di Park Chan-Wook.

Costruendo una storia fatta di vendetta e amore tragico in parti eguali, il regista tesse splendidamente le vicende di un uomo condotto  verso il suo stesso destino, messo in moto da un errore risalente al tempo della propria infanzia.
Min Sik-Choi offre una performance mozzafiato, così come Oh Dae-Su, l’uomo spinto verso il confine della propria sanità mentale e costretto a sacrificare l’ anima in cambio della tanto attesa vendetta.

Negli anni passati murato in quel recinto buio e umido, Dae-su ha trascorso i suoi giorni preparandosi per la battaglia, in attesa della prova di forza che gli spettava di diritto. Tuttavia, nonostante Dae-su raggiunga la fine del suo viaggio, smascherando e sconfiggendo il suo oppressore, resterà in lui una parte intatta dell’uomo che un tempo era, per potersi godere tale vittoria?

La vendetta ha senso se implica lasciarsi alle spalle per sempre la persona che si era, ricominciando tutto da capo?

Attraverso immagini vivide e luminose, unite ad una sontuosa colonna sonora degna di una sala da ballo, firmata dal partner di lunga data del regista, Yeong-wook Jo, Oldboy cerca di esplorare queste domande, mentre Park Chan-Wook si butta a capofitto in uno dei suoi argomenti di discussione preferiti,  la percezione individuale della morale.

Sfidando la definizione della società di un comportamento accettabile, Park Chan-Wook riesce ancora una volta a raggiungere e toccare il proprio pubblico con il suo materiale tanto strano quanto attraente, costringendo gli spettatori a confrontarsi con le proprie convenzioni, e spingendo un po’ più in là i confini di ciò che la maggior parte delle persone è disposta ad accettare come “normale”.