Fabio Guaglione e Fabio Resinaro su Ride: un franching italiano? Magari!

Dopo aver diretto il film Mine, gli sceneggiatori e produttori Fabio Guaglione e Fabio Resinaro si concentrano sulla possibilità dell'espansione di un nuovo universo partendo dal film Ride

L’azione torna in Italia con il duo Fabio&Fabio e lo fa inseguendo un traguardo fatto di gloria e pericolo nella nuova opera prodotta dai registi di Mine. Ride è il film di Jacopo Rondinelli che sfreccia su sentieri ancora inesplorati della cinematografia nostrana e lo fa grazie all’intenzione di una oramai affermata factory di portare ad un altro livello il mestiere artistico in Italia, puntando su un mondo che potrebbe proseguire con ulteriori corse.

Si parla infatti di possibili seguiti, di libri e fumetti in uscita, di come l’avventura dei protagonisti di Ride – e dei loro realizzatori – sia solo cominciata, sviluppandosi in un progetto più grande e, in principio, inaspettato. Di ampliamento, creazione della gara e dell’universo che ha permesso la creazione di Ride ci raccontano gli sceneggiatori e produttori Fabio Guaglione e Fabio Resinaro nella nostra intervista, in cui si aspira all’apertura del franchising tutto italiano.

Ride – Intervista agli sceneggiatori e produttori Fabio Guaglione e Fabio Resinaro

Con l’uscita al cinema di Ride – prevista per il 6 settembre – non vi siete occupati soltanto della distribuzione del film, ma avete dedicato spazio anche a tutta un’uscita collaterale che vedrà infatti la possibilità di acquisto di un fumetto e del libro Ride – Il gioco del custode. Cosa vi ha spinto a questa espansione e come pensate possa continuare, anche in termini di franchising?

Fabio Guaglione: “Abbiamo fatto tutta una serie di attività e adesso ovviamente sta al pubblico dirci se ne vuole ancora. Mentre lavoravamo al film ci sono venute diverse idee che si potevano declinare in diversi modi, raccontando cose in più rispetto al film, non analoghe. Il fumetto e il libro non sono infatti adattamenti, sono propriamente storie parallele. È chiaro che se il pubblico dovesse gradire il film, Ride è fatto per essere espanso. Già il film fa vedere che a volte scalpita per far vedere il mondo dei personaggi presenti, come ad esempio sul finale. Quindi dipende da come andrà. Sarebbe interessante che l’Italia avesse un suo franchising, una cosa che non esiste al momento.”

Un’operazione già cominciata al Comic-Con di Napoli a dire il vero, quando alla gente sono state offerte delle lattine con sopra il logo di Black Babylon. Ci raccontate di quella esperienza e che tipo di riscontro ha avuto sulle persone?

F.G.: “È difficile capire quale sia stata la vera reazione sulle lattine, perché mentre succedeva la gente non sapeva che era un qualcosa di collegato al film. Sui social poi c’è stata l’idea di lanciare un vero contest della gara con un conto alla rovescia che avrebbe dovuto portare a svelare il luogo della sfida e invece è uscito il teaser del film. Però la comunità di bikers, che è molto più ampia di quanto pensassi, sta reagendo bene. Vedo che scrivono cose come “Andiamo a vedere questo film in sala con le bici!”. Probabilmente perché è una categoria che non si vede riflessa nelle storie fiction quindi vedere un film su quest’argomento attira la loro attenzione.”

Per quanto riguarda più propriamente il film, Ride non è solo un action movie. O meglio, tutti potrebbero pensare che nasce e finisce come un action, ma c’è un vero e proprio spostamento di genere che tende più ad una zona dai contorni dark. Avevate in mente questo mutamento già prima di cominciare a scrivere?

Fabio Resinaro: “Inizialmente la storia era molto più semplice. Poi nelle varie stesure sono state aggiunti diversi livelli di lettura e il racconto è diventato un po’ più metaforico, abbiamo aggiunto l’aspetto che stiamo vivendo negli ultimi anni con questi conglomerati giganteschi che gestiscono le nostre vite. Poi si è aggiunto anche un lato più esoterico, che sta dietro questo tipo di potere. Si sono andati quindi a sovrapporre questi elementi che poi sono andati a condizionare l’effetto estetico del film. È stato un lavoro in divenire a cui  hanno dato il loro contributo diverse persone.”

Fabio Guaglione e Fabio Resinaro: “L’equilibrio di Ride tra linguaggio di fruizione e found footage.”

Un contesto visivo che va anche di pari passo con la colonna sonora composta da Andrea Bonini e Massimiliano Margaglio e con l’intero tappeto sonoro del film. Quanta libertà avete lasciato  per la composizione dei brani e come vi aspettavate fosse l’effetto finale?

F.G.: “Essendo un film in cui metanarrativamente loro si dicono che sono dentro ad un videogioco, abbiamo prima parlato con Andrea Bonini, che è anche il compositore di Mine, e ci siamo detti che volevano una colonna sonora quasi ottobit, cioè da gameboy, ovviamente remixata con suoni moderni e il resto. E poi, sempre senza svelare niente, anche la colonna sonora si evolve in un’altra direzione con l’andare avanti del film. In più, per una pellicola così, abbiamo dovuto trovare una scusa per avere le musiche, essendo tutto un found footage con anche camere di sorveglianza annesse, allora abbiamo deciso che veniva detto ai protagonisti che avevano una loro playlist personale che così è andata di pari passo con il montaggio. La cosa interessante è stata poi quella di aver giocato con il fatto che a volte la musica veniva dai caschi, altre volte dai monoliti, che quando ci sono glitch sull’immagine allora saltano anche le musiche. Sul suono abbiamo lavorato tantissimo, tutto quello che si sente nel film è quasi interamente rifatto in studio, non c’erano microfoni che si potevano usare. Abbiamo cercato di creare il suono di Ride, l’alfabeto digitale dei monoliti, il modo in cui il suono si sposava con le musiche. È stato un lavoro grosso sull’audio che naturalmente ha contribuito a formare la percezione che si ha delle immagini.”

Immagini che richiamano tanto lo stile degli atleti di sport estremi che utilizzano le GoPro, ma che non vanno a comporre un video da caricare su internet, ma un vero e proprio film. Come siete riusciti a bilanciare la realtà virtuale insita in Ride e la sua natura più cinematografica?

F.R.: “Quello era un pericolo. Girare tutto il film con queste camere legate agli attori poteva essere una cosa che dopo poco avrebbe potuto stancare lo spettatore o rendere difficile la fruizione. Trovare l’equilibrio è stata dunque tra le cose più complicate, ma comunque proprio questa grande quantità di punti di vista, di camere esterne, in realtà dopo poco viene allineata dal film, che rientra così nei ranghi di una narrazione più propriamente classica in cui, ad esempio, c’è un campo e controcampo. È un equilibrio sottile tra un linguaggio che deve essere quello di facile fruizione e un linguaggio che ti ricorda che è un film found footage.”