Dominique Abel e Fiona Gordon su Parigi a piedi nudi: al teatro si prova, al cinema si improvvisa!

Dominique Abel e Fiona Gordon presentano nella nostra intervista il loro nuovo film Parigi a piedi nudi, raccontandoci delle loro ispirazioni, della fisicità dei loro film e della partecipazione di Emmanuelle Riva, alla sua ultima interpretazione cinematografica.

In Italia per presentare il loro nuovo film all’interno del Festival Rendez-Vous 2018, Dominique Abel e Fiona Gordon ci parlano della loro buffa e stravagante opera Parigi a piedi nudi. La ricerca di una zia scomparsa che innescherà una serie divertente di azioni, interpretata da Emmanuelle Riva, alla sua ultima interpretazione sul grande schermo. Dell’attrice francese, del suo modo di lavorare, della costruzione dei loro film e delle figure a cui si ispirano: di tutto questo parlano direttamente Abel e Gordon nella nostra intervista.

Parigi a piedi nudi è una commedia eccentrica, come tutte le altre opere cinematografiche che vi hanno visto protagonisti, e si basa su di un coinvolgimento molto pronunciato del corpo e della fisicità. Questo spinge a chiedersi: nei vostri film nasce prima la parola e poi l’azione o prima l’azione poi la parola?

F.G: “Devo dire forse né l’uno né l’altro. Nel senso che, anche se noi siamo molto spesso e naturalmente attirati da un tipo di racconto senza parole, la cosa che ci interessa trovare è una storia che ci piaccia, che ci tocchi, non necessariamente divertente. Pensiamo ad una storia che vogliamo raccontare e poi improvvisiamo il modo di farla, quindi a volte viene fuori qualcosa con tante parole e poca azione e a volte invece qualcosa con tanta azione e poche parole.”

Ci sono due scene molto divertenti nel film: quella del tango e quella del sesso/non sesso espresso attraverso lo split screen. Come sono state costruite e vi ha divertito girarle?

D.A: “Sicuramente sono due scene molto interessanti, noi amiamo vedere i corpi e osservarli in azione anche perché, come abbiamo sempre detto, il corpo dice la verità. Non mente, non è in grado di dire bugie, tradisce sempre la verità e quando si balla si riesce ad esprimere molto di più che a parole. Quella scena del tango poi è stata molto impegnativa perché noi non siamo dei coreografi, non siamo dei ballerini, quindi abbiamo davvero lavorato tantissimo alla scena che è un po’ un misto di grazia e di goffaggine. Secondo me però la bellezza si nasconde proprio lì, è per questo che a noi piacciono proprio le persone che ce la mettono tutta, che provano a fare delle cose anche se non sono perfette, e quando scegliamo gli attori per i nostri film lo facciamo proprio prendendo alcuni che non sembrano tali, che hanno un fisico particolare che può essere buffo o diverso, che magari ha delle goffaggini o debolezze che servono a mostrare proprio la verità.”

F.G.: “Sicuramente poi quelle due scene sono una trasposizione poetica, non le abbiamo pensate volendo realizzare qualcosa che si rifà alla vita, sono come delle poesie, dei quadri. Il linguaggio poetico poi è bello perché va oltre di noi, attraverso questo puoi dire davvero tante, tante, tante cose. Quindi in alcune sequenze non importa riuscire a suscitare una risata o il lato comico, ma quello più poetico, che è importantissimo.”

Il film va a toccare molto un livello surreale, il che rende l’opera particolarmente caratteristica. Oltre ai vostri riferimenti al mondo dei mimi o alle realtà del circo, nell’ambito più strettamente cinematografico, a che figure vi rifate per costruire un’opera?

F.G e D.A: “Il campo dei nostri riferimenti e delle ispirazioni è enorme, andiamo dal norvegese Bent Hamer ad un Michel Gondry, ma molto di meno visto che si tratta di un contemporaneo. Poi Tati, Benigni, Hitchcock, Fellini, tanti giapponesi, tanti italiani. Le ispirazioni sono davvero tantissime, ma soprattutto i punti di riferimento sono sempre i clown del circo. Sicuramente Chaplin e Tati è come se fossero un po’ i nostri nonni, ma siamo ben consapevoli che sarà difficile fare meglio di quello che hanno fatto loro e pensiamo quindi che ogni generazione debba trovare un po’ la propria strada per esprimersi. Quando poi cominciamo a recitare cerchiamo di non pensare troppo a questi riferimenti, così ingombranti e così difficili da raggiungere, anche se poi le ispirazioni si vedono. Per esempio anche Stanlio e Ollio ci sono vicini, erano una coppia comica anche se si trattava lì di due uomini invece qui c’è una donna comica, qualcosa di abbastanza raro.”

F:G: “Poi sicuramente una cosa molto interessante da notare è che quando sei un comico il tuo obiettivo è quello di far ridere il pubblico, ma non sei poi tu che scegli come farlo ridere. A volte penso con una battuta di essere molto comica invece poi non faccio ridere nessuno. Per esempio si sa che Buster Keaton quando ha cominciato a lavorare si è accorto che quando in scena sorrideva nessuno sorrideva, invece quando faceva questa espressione particolare e questa faccia seria scatenava l’ilarità. Quindi quello che serve quando si vuol far ridere è ascoltare il pubblico, capire cos’è che scatena la risata, che produce il risultato che tu vuoi creare. È difficile scegliere il tuo stile comico. Anzi, non sei tu a sceglierlo, è lo stile comico che sceglie te.”

Dominique Abel e Fiona Gordon: “Emmanuelle Riva ha detto che a teatro provava, al cinema invece voleva improvvisare.”

In Parigi a piedi nudi abbiamo l’ultima interpretazione della carriera di Emmanuelle Riva, che chiude il suo percorso con una parte davvero simpatica alla quale si finisce per voler bene proprio come ad una zia. Vi ha mai detto cosa pensava del suo ruolo, se era felice di interpretarlo, se anche lei si era affezionata a questa zia Martha?

F.G: “Siamo stati molto sorpresi che avesse voglia di interpretare una commedia di questo tipo, di genere molto fisico.”

D.A: “Sapevamo che amava molto Buster Keaton. Era una persona allegra, sorrideva moltissimo, però come attrice la conoscevamo per i suoi ruoli sempre molto seri, estremamente drammatici. Poi ci hanno fatto vedere un’intervista video che aveva rilasciato al New York Times quando era stata candidata agli Oscar e in cui era andata veramente fuori di testa. Faceva finta di essere Charlie Chaplin, si è messa una specie di mantello con una S davanti e faceva Superman. Rideva, ballava e abbiamo voluto quindi chiederle di fare parte della nostra commedia. Le abbiamo dato la sceneggiatura e lei è stata veramente contenta perché ha visto che c’era un vero ruolo, anche poetico. È vero che si trattava di una parte per una persona anziana, però era molto bello. Aveva poi voglia di recitare una commedia che fosse fisica e quindi ha detto di sì. Al primo incontro eravamo un po’ intimiditi da questo gigante del cinema francese, però poi è stato facile perché abbiamo visto che lei era curiosa, eravamo entrati subito in sintonia. Ci diceva sempre che lei nella testa aveva quattordici anni, peccato che il suo corpo ne avesse ottantotto. Però insomma, si sentiva veramente una ragazzina. Ad un certo punto ci siamo un po’ preoccupati: lei lavorava tantissimo a teatro e anche noi, e sapevamo che questo richiede tante prove, quindi ci rassicurava chiederle di farne anche per il film. Però poi ci disse che al cinema non aveva voglia di provare così tanto, voleva improvvisare. Alla fine abbiamo visto che andava bene, ha risposto benissimo alle nostre indicazioni, non ha avuto bisogno di grandi cose. Le abbiamo giusto detto che doveva recitare come un gatto, ma non come uno bello, elegante e d’appartamento, ma come uno di strada, un po’ arruffato, spettinato, e in effetti lei è arrivata con i capelli dritti, senza trucco e si è prestata tanto a questa esperienza fisica. C’è anche stata una cosa molto divertente: il giorno in cui ha interpretato la scena del ballo sulla panchina è venuta con il rossetto, allora le abbiamo chiesto come mai e lei ha detto “No no, non mi sono truccata, è un caso…”

Si nota infatti la perfetta coesione di Emmanuelle nel film e nella vostra coppia. Voi poi che siete un duo così consolidato, come avete fatto ad integrarla bene nei vostri ingranaggi, visto che alla fine lei si ritrova proprio nel mezzo? È stato difficile essendo solitamente in due?

F.G: “In genere, a parte il caso di Emmanuelle che aveva detto di non voler provare, lavoriamo tanto con gli attori proprio per cercare di integrarli nel nostro modo di lavorare. E poi non siamo mai noi che decidiamo da soli cosa far fare agli altri, ma lavorando insieme e facendo le prove scopriamo cose che possono funzionare per tutti quanti. Non imponiamo nulla, cerchiamo di lavorare insieme. Ma con Emmanuelle, visto che non voleva provare, l’abbiamo osservata molto e abbiamo immaginato delle cose che avrebbe potuto fare e che a nostro avviso andassero bene per lei. “

D.A.: ”In realtà poi il ruolo è stato riscritto per Emmanuelle, all’inizio il ruolo della zia Martha era solo una scusa per fare in modo che questi due personaggi così strampalati si incontrassero a Parigi, ma dopo che lei ha accettato, che si è messa a completa disposizione e con se stessa anche il suo appartamento, abbiamo ampliato il ruolo e lo abbiamo costruito proprio su di lei. Anche perché poi ha conosciuto in fondo la vita del personaggio, ha vissuto alti e bassi per la sua grande libertà, non è mai voluta scendere a compromessi, non si è sposata, non ha avuto figli, ma tante storie d’amore. Una scelta di libertà pagata anche in termini economici perché alla fine della sua vita doveva ancora lavorare e abitava al quarto piano di una casa senza ascensore. Quindi sicuramente è anche una storia di trasmissione il film, perché Martha chiama sua nipote “nipotina”, pur avendo questa donna cinquant’anni, perché in realtà non ha mai vissuto, né corso nessun rischio né scoperto la vita, quindi la scusa di farla andare a Parigi è anche un’incitazione a farla uscire dal paesetto in cui vive e andare alla scoperta del mondo.”