Editoriale | Grande Giove! Perché Doc Brown è l’anima di Ritorno al futuro

Era il 27 ottobre 1985 quando Ritorno al futuro di Zemeckis ha cambiato per sempre il volto della fantascienza, consegnando alla storia uno dei personaggi più iconici di sempre: Emmet "Doc" Brown.

27 ottobre 1985. Il cinema di fantascienza e la commedia si uniscono per raggiungere livelli eccezionali, dando vita a quel cult indiscusso che è Ritorno al futuro. Firmato dalla premiata ditta Spielberg/Zemeckis – rispettivamente nei ruoli di produttore e regista – con l’aggiunta della penna di Bob Gale che sigla la sceneggiatura, Ritorno al Futuro è un caso più unico che raro di franchise longevo e sempre efficace, che è sopravvissuto intatto non solo al sequel del 1989, ma anche al terzo episodio del 1990. La coerenza delle trame, così come la loro tenace resistenza, nonostante la ripetizione dell’espediente narrativo di base, è spiegata dal fatto che sono state tutte e tre concepite assieme e, anzi, inizialmente pensate per un unico film (intitolato Paradox). Una bella lezione contro lo sfiancante riproporsi di capitoli sempre nuovi di saghe lunghe e sfiatate, così tanto in voga nel cinema degli ultimi dieci anni.

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Ma il punto di forza di Ritorno al Futuro non sta solo nella coerenza della sua trama, ma anche nella caratterizzazione dei personaggi principali. Anche chi non ha mai visto il film conosce, infatti, il volto stralunato che Christopher LLoyd ha regalato a Emmet “Doc” Brown, diventato presto l’archetipo dello scienziato pazzo del cinema contemporaneo. Spalla perfetta per il giovane protagonista Marty McFly (Michael J.Fox), Doc ha un look che omaggia uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi, Albert Einstein, citato anche nel nome del coraggioso cane da compagnia del personaggio. L’eredità visiva legata agli scienziati più famosi della Storia porta Doc sulla torre dell’orologio con un impermeabile di plastica gialla, intento a intercettare fulmini alla maniera di Benjamin Franklin, ritratto armato di un aquilone nei suoi famosi esperimenti sull’elettricità in seguito ai quali inventò – perlappunto – il parafulmine.

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Il look inconfondibile di Doc in Ritorno al futuro

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I capelli bianchi arruffati diventano, così, un simbolo della trascuratezza delle menti geniali nei confronti del proprio aspetto fisico, e di una certa noncuranza nei confronti dell’apparenza a favore di obiettivi ben più profondi e ambiziosi. Doc, in particolare, è un visionario, ironico inventore dall’aria perennemente indaffarata che cambia abbigliamento interpretando le epoche in cui decide di viaggiare. Se nel primo episodio della saga, infatti, il suo aspetto cambia poco tra il 1985 – data di partenza – e il 1955, già nel secondo capitolo troviamo una gustosa proiezione di quella che sarebbe stata la moda (e la tecnologia) nel 2015. Doc, da vero esperto di tutti gli aspetti di un’epoca, non manca di procurare se stesso e al compagno di viaggio Marty dei vestiti all’avanguardia.

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Il fatto che lo scienziato rimanga uguale a se stesso nel 1985 come nel 1955, così come dopo la sua cura intensiva di ringiovanimento, costituisce di per sé una gag che ben spiega l’ironia intelligente che circonda il personaggio e preannuncia e prevede il suo ruolo di archetipo, di simbolo, di idolo. Raccogliendo suggestioni provenienti da varie lande della cultura pop (e non solo), Doc sintetizza e distilla un nuovo prototipo di uomo diviso tra genio e sregolatezza, qui pervaso da quel magnifico spirito anni Ottanta che ha insegnato a tutti a prendersi un po’ meno sul serio.

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La logica intrinseca nel personaggio di Doc Brown in Ritorno al futuro 

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L’attenzione di Doc ai particolari, insieme ai serrati monologhi in cui sciorina senza remore complessi principi fisici che giustificano i viaggi nel tempo, rendono questo personaggio l’anima dell’intera saga, oltre che uno dei prodotti più iconici di tutto il cinema degli anni Ottanta. Se ci soffermiamo ad ascoltare quello che il personaggio dice, quasi senza prendere fiato, resteremmo stupiti dall’intrinseca logica che pervade i suoi deliri.

In fondo, e questo ritorna più e più volte nel corso della trilogia, Doc vuole solo evitare i paradossi temporali e rimediare alle catastrofi che lo sconvolgimento del passato può provocare nel futuro (o viceversa). Doc ci insegna principi dall’etica inaspettata: che la scienza non deve essere piegata alla mera logica del guadagno e che – quando questa provoca danni sui civili, è meglio lasciarla da parte per dedicarsi a nuovi e più innocui ricerche.

La straordinaria curiosità del personaggio, però, è il motore inarrestabile delle vicende che animano tutti e tre i capitoli della saga. Ovunque arriva, Doc è in grado di portare caos e di ristabilire l’ordine, in una montagna russa di parole e toni che lasciano Marty (e lo spettatore) stordito e affascinato. La conclusione che la vicenda personale di Emmet Brown ha, poi, nel terzo capitolo della saga, è un chiaro segnale dell’intenzione dei suoi autori di umanizzarlo e di indagare il conflitto interiore che nasce in una mente pura quando ha a che fare con dei sentimenti di altro genere.

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Come vedremo nel finale di Ritorno al futuro – Parte III, l’epilogo di questo conflitto si risolverà in una pacifica conciliazione tra la ricerca scientifica e vita familiare, con la nascita di due figli che – con il loro stesso nome – (si chiamano Giulio e Verne) rispondono al quesito: pura scienza o pura fantasia? Nessuna delle due, la fantascienza è la strada che percorriamo là dove non servono strade, dove il racconto prende il volo per portarci avanti e indietro nel tempo e poi di nuovo a casa, pronti a intraprendere nuovi, fantasmagorici viaggi.