Emanuela Muzzupappa parla di Accamòra: “i frutti più buoni nascono proprio dal terreno più arso”

La giovane regista Emanuela Muzzupappa ci racconta il suo corto selezionato nella SIC@SIC della 35° Settimana Internazionale della Critica a Venezia 77.

Lasciare la propria casa non è mai un’impresa da niente, ancora di più per chi la deve compiere in questi tempi così confusi e veloci, in cui le radici possono significare un’ancora a cui aggrapparsi in una tempesta che non sai dove può spazzarti via. Come prendere il mano il timone della propria nave, consapevole che, continuando ad andare avanti, ad un certo punto non riuscirai più a vedere il porto alle tue spalle. Un’azione carica di tensioni e insicurezze che possono bloccarti, ma anche essere il più forte dei venti, se riesci ad incanalarle. “La nostalgia ti fotte” diceva Alfredo alla fine di Nuovo Cinema Paradiso, ma perderla sarebbe privarsi di un sentimento in grado di spostare le montagne o, più semplicemente, di caricare di tanti significati anche il racconto di una giornata a raccogliere fichi.

Emanuela Muzzupappa, la giovanissima regista di Accamòra (in questo momento), corto in concorso alla SIC@SIC della 35esima Settimana Internazionale della Critica di Venezia 77, è una di questi avventurieri, innamorata perdutamente della sua Calabria e costretta a lasciarla per inseguire le sue ambizioni. Lei è riuscita a cavalcare le sue paure, trasformandole in ispirazione, “Accamòra nasce in un periodo della mia vita in cui sentivo di avere attorno a me solo terra bruciata dalla quale non poteva nascere niente di buono. La perseveranza e l’insistenza però mi hanno insegnato che i frutti più buoni nascono proprio dal terreno più arso, perché diventa più fertile, si rigenera“.

Accamòra: un patto con lo spettatore

Accamora, cinematographe.it

Nello sviscerare il tuo lavoro si rischia di perdersi tra i mille significati di cui è composto. Allora partiamo dall’inizio, il titolo.

“Accamòra racchiude un ventaglio di significati diversi ma sancisce soprattutto un patto che lo spettatore deve fare con la sua concezione di tempo. Per definizione il momento è quella frazione di tempo che precede di poco la fine di qualcosa e la giornata che Antonio – uno dei due fratelli protagonisti – vive è scandita da tanti momenti che non fanno che finire. Si parte dalla raccolta dei fichi e si finisce con la contemplazione dei cimeli d’infanzia. Tutto ciò lo porta Antonio a dover provare sulla propria pelle, il fatto che i cambiamenti, possono avvenire in ogni momento. Non volevo solo fare riflettere lo spettatore sulla propria casa, volevo che questa fosse innanzitutto un pretesto che accomunasse tutti quanti di fronte a una riflessione diversa. Perdere ogni certezza senza essere pronti alle conseguenze che questo evento comporterà, sentirsi mancare la terra sotto ai piedi (in tutti i sensi). Antonio è il portavoce di un sentimento che vorrei fosse diverso e unico per ogni persona che si appresta a guardare il film“.

Rimanendo sulla manipolazione del concetto del tempo e sui diversi significati che assume in Accamòra, è interessante sottolineare l’uso che si fa delle parole, veicoli immaginifici che  permettono allo spettatore di ampliare lo sguardo. Come spiega la stessa Muzzupappa: “Volevo che le azioni si materializzassero tramite le parole dei protagonisti. Ricordare degli eventi e degli aneddoti passati è un modo per fare da ponte tra ciò che vediamo e ciò che quelle parole riescono a proiettare nella nostra immaginazione. Loro sono soli, eppure, parlano sempre dei membri della loro famiglia che, in qualche modo, diventano protagonisti invisibili e concreti allo stesso tempo”.

E quanto hai preso dal tuo vissuto nel costruire i tuoi protagonisti e ciò che raccontano?

C’è molto di mio nei loro gesti. Quando li guardo rivedo i miei cugini, rivedo me e mia sorella giocare con la cesta di giocattoli nella baracca. Allo stesso tempo però, rivedo la Calabria, vedo i ragazzi che giocano a morra nelle vie di Reggio Calabria creando dei veri e propri sipari d’intrattenimento per i passanti e rivedo le vecchie macchine che ancora oggi sfrecciano senza invecchiare mai tra le campagne gialle”.

Accamora, cinematographe.it

Mi ha colpito particolarmente l’aneddoto sui proiettili e l’arcobaleno.

“Quando ero piccola e andavo proprio in quella casa in campagna, mio zio era solito raccontare a me e i miei cugini diversi tipi di storie, tra leggende, mitologie e aneddoti per le escursioni. Così, grazie ai mondi che ricreava per farci scoprire nuove cose abbiamo iniziato a immaginare delle regole tutte nostre che potessero ordinare il mondo. Tra queste, quella dei proiettili nell’acqua che, essendo colorati avrebbero potuto generare un arcobaleno se messi dentro una bacinella piena d’acqua sotto al sole. Avevo girato una scena in cui si vedeva proprio questa bacinella, alla fine però ho deciso di non montarla per permettere allo spettatore di ricreare la propria idea di “rito magico” che non fosse uguale al mio”.

A proposito dei protagonisti, Carmelo Macrì è un giovane attore in ascesa, che ha partecipato anche a produzioni importanti. Come hai scelto gli attori? Come ci hai lavorato? 

“Nel periodo in cui mi sono trovata a dover scegliere gli attori lavoravo come assistente casting per un film che si dovrà girare in Calabria e il caso ha voluto che Carmelo Macrì fosse chiamato per il provino del film. Avevo visto The Miracle e mi ero segnata il suo nome sulle note del telefono, poi lo avevo cercato sui social ma la ricerca era stata vana. Il giorno che l’ho visto arrivare in studio per il provino mi ha folgorata. Mi è sembrato un sogno che si realizzava. Giovanni Spanò, l’altro protagonista, lavora in una macelleria di un piccolo paesino della costa ionica calabrese. È frutto di un lungo lavoro di street casting. Lavorare con entrambi è stata un’esperienza che porterò sempre con me, abbiamo fatto poche prove ma abbiamo parlato molto. Entrambi hanno un profondo legame con la terra e quando mi hanno detto che la coglitura dei fichi fa parte ancora oggi della loro tradizione ho capito che era tempo di prendere la macchina da presa e girare”.

Emanuela Muzzupappa parla di Accamòra: “Vorrei che, chi come me ha dovuto allontanarsi dalla propria casa non dia per scontata la sacralità delle proprie origini e, soprattutto, non dia per scontato il tempo.”

Carmelo Macrì, cinematographe.it

Sebbene Accamòra nasca da una delle mille sfaccettature della paura la frase finale restituisce un di sollievo, quasi come un pericolo scampato.

“Non avevo mai pensato alla sensazione di un pericolo scampato nel finale, ma ora che mi ci fai pensare non si allontana troppo da ciò che avevo in mente. La paura, che è il sentimento che muove le radici del corto, assume diverse forme, ma è soprattutto una paura nei confronti di ciò che non si conosce, ciò che non sai se potrà ferirti o meno. Nel finale accade un po’ questo, le carte vengono finalmente messe sul tavolo e la decisione su come affrontare la realtà dei fatti è racchiusa tutta nello sguardo del protagonista, nel quale proietto puntualmente anche il mio.

Vorrei che chi come me ha dovuto allontanarsi dalla propria casa non dia per scontata la sacralità delle proprie origini e, soprattutto, non dia per scontato il tempo che passa senza che noi ce ne accorgiamo e porta inevitabilmente con sé tutto ciò che non teniamo stretto e le memorie che non conserviamo”.

Questa è la tua seconda regia dopo Legami, un altro corto, anche quello molto importante per il tuo cammino. Come è cambiato, se è cambiato, il modo di rapportarti al lavoro?

“Mi viene da dire che più cresci e più impari cose nuove, ma allo stesso tempo, cresci e capisci che ci sono molte cose a cui prima davi tanto peso che in realtà vanno affrontate in modo diverso e viceversa. Tra il primo corto e questo non è cambiato il mio modo di approcciarmi alle storie che scrivo, quanto più, il modo di approcciarmi alla realizzazione del film all’atto pratico. Quando giri qualcosa per la prima volta fai appello agli insegnamenti che ti vengono impartiti o a dei suggerimenti che ti vengono dati su come affrontare determinate situazioni, difficilmente si fa affidamento all’istinto e ciò che ho imparato è proprio che bisogna darsi molto più ascolto e seguire quella voce nella testa che ti dice che esiste una soluzione per tutto e che gli imprevisti non sono altro che linfa vitale per il lavoro”.

Emanuela Muzzupappa, cinematographe.it

Dopo Accamòra, quali sono i tuoi progetti per il futuro? Se puoi o vuoi dirci qualcosa.

“In questo momento sto lavorando a un nuovo cortometraggio e a un documentario che dovrò girare a breve, sono ancora in uno stato embrionale per poter approfondire. Auguro tanta forza e tanta fortuna a chi come me si appresta a girare in questo periodo storico non indifferente”.