Mal di pietre: il significato del finale del film con Marion Cotillard

Mal di pietre è un film non privo di imperfezioni ma che sicuramente si risolleva in un finale che celebra la (ri)nascita di una donna, di una coppia e di una famiglia.

Anni ’50. Sud della Francia. Questa è l’ambientazione di Mal di pietre (QUI la nostra recensione), il film di Nicole Garcia, con Marion Cotillard (Un sapore di ruggine e ossaDue giorni, una notte), Alex Brendemühl (Ma Ma – Tutto andrà bene) e Louis Garrel (Mon Roi – Il mio re, Il mio Godard).

La pellicola prende le mosse dal libro omonimo della scrittrice sarda Milena Agus. La regista, da sempre interessata alle dinamiche familiari, anche le più complesse, al disagio esistenziale e ai personaggi che soffrono ogni forma di dissociazione, racconta qui l’ardore e il desiderio femminile attraverso il corpo desiderante di Gabrielle.

La donna, innamorata delle storie dolorose e dolenti che ha letto nei libri, desidera gli uomini con lo stesso ardore di Cime tempestose – che le viene regalato dal suo professore di letteratura di cui si innamora perdutamente -, soffre come Anna Karenina, si contorce con tutto lo struggimento delle eroine dei grandi romanzi, perdendo così il legame con la realtà. Desidera Gabrielle; e per la famiglia è difficile, se non impossibile, da accettare (in un periodo storico in cui la libertà sessuale è ancora un miraggio). Si ammala, Gabrielle, per il dolore di un amore negato (quello per l’ufficiale Sauvage che incontra nel centro termale), non corrisposto (quello per l’insegnante di letteratura), e il suo corpo reagisce alla sofferenza con il mal di pietre (i calcoli renali) che mina il suo fisico come le emozioni la sua anima.

Per i suoi genitori è impossibile accettare una figlia descritta dal paese come una malata di nervi, una pazza senza aderenza alla realtà, così cercano di risollevare il suo animo turbolento e depresso organizzandole il matrimonio con il contadino spagnolo José – matrimonio bianco fino ad un certo punto e poi figlio di una passione ridotta ai minimi termini – contro la volontà di lei, lontana dal provare anche il minimo affetto per lui.

Garcia costruisce Mal di pietre intorno ad una donna spezzata, che confligge con la sua stessa storia, che crede in cose mai avvenute. Ma è proprio la mancanza di aderenza alla realtà che la porta a vivere in un’altra da lei costruita (cosa che si scoprirà solo nel finale del film). Il film della regista è – come la sua protagonista – spesso scontroso, lento e stanco, depresso, ma allo stesso tempo vibrante e impetuoso e tutto ciò è possibile grazie al corpo attoriale della Cotillard che si insinua nelle carni del suo personaggio, fatto di passione e dolore, e le fa vivere.

Mal di pietre – Gabrille, una donna che ama

Gabrielle abbatte tutte le regole, le convezioni di un mondo organizzato che giudica, condanna ed emargina. Si sposa, sì, ma quell’unione nelle sue intenzioni non sarà mai consumata, è lei a scegliere poi, una notte, dopo l’ennesimo amplesso del marito con una prostituta, di concedersi e di diventare a tutti gli effetti sua moglie. La giovane è ribelle, recalcitrante, completamente dilaniata quando le cose non seguono il suo volere, ma è lei a decidere nei momenti fondamentali del loro rapporto, perché Josè –  che ama Gabrielle con tutto se stesso – accetta ogni cosa, anche starle lontano, e, inconsapevole di ciò che sarebbe successo in seguito, la portan in un centro termale dove verrà curata.

Quel centro per Gabrielle è il luogo dell’amore e dell’illusione, della passione e della perdizione. La donna conosce tra quelle mura di sofferenza un ufficiale, e, come nelle migliori tradizioni del romanzo d’appendice – di cui Mal di pietre si nutre -, si innamora di lui, delle sue carni da statua greca che si contorcono però negli spasmi più atroci. Si avvicina a lui, sempre di più: prima lo guarda da dietro le porte, come quei misteri spaesanti o quegli animali miracolosi e bellissimi, poi gli parla, si racconta e ne conosce la vita; la sua casa, suo marito si allontanano sempre più, svanendo negli anfratti brumosi della memoria. Mentre è immersa in questo idillio l’ufficiale peggiora, lascia il centro e Gabrielle per non soffrire fugge dalla realtà e ne costruisce un’altra più sopportabile: l’uomo torna e i due iniziano una storia e resta incinta di lui.

Mal di pietre: una parabola di ossessione e amore

Mal di pietre racconta una donna che ama sì, ma in maniera tortuosa, è abitata da ciò che prova fino all’ultima cellula, infatti vive di questo sentimento ossessivo che la fa perdere e disperdere. Gabrielle però non sa gestire tutto questo e il suo corpo deflagra nella passione per quell’uomo bello e malato in maniera struggente e romantica. Non è un caso che il centro del film, l’incaglio e la sua celebrazione sia proprio la notte d’amore passata tra lei e l’ufficiale in cui si scambiano la pelle e le ossa, in cui lei crede di aver coronato il suo sogno invece poi scoprirà la verità.

L’amplesso non può che essere messo a confronto con quello del marito: se in quello con l’ufficiale è la passione a costruire la scena e l’occhio cinematografico segue le linee del corpo, si infila nell’abbraccio stretto tra gli amanti, si avvicina fino a capirne i respiri affannosi, in quello con il coniuge non c’è nulla di tutto questo. Gabrielle non sa e non capisce ciò che sta vivendo e quale sia la verità; sta proprio qui il gioco della regista, che mostra e intanto elude, fa credere ma dà indizi che portano altrove e che poi serviranno a sciogliere l’intreccio (la fotografia che lei crede di aver fatto con il soldato, la “ricostruzione” di ciò che accadeva lontano dagli occhi della protagonista).

Quando torna a casa, dopo essersi curata e aver scoperto di essere incinta, Gabrielle continua a vivere dell’amore e per l’amore dell’ufficiale, gli scrive lettere, aspetta e riceve risposte, non nasconde al marito ciò che ha dentro anche se ciò significa farlo soffrire. Gli anni passano, suo figlio cresce ma la donna ricorda, pensa, rivive emozioni, momenti, situazioni passate nel centro termale arrivando addirittura a organizzare un viaggio per rivedere l’antico amante, mentre al suo fianco Josè, amandola, continua a collaborare alla costruzione dell’illusione per non farla soccombere.

Mal di pietre: la dolorosa liberatoria agnizione del finale

Mal di pietre accumula lungo il film frustrazione e rabbia (quelle di Gabrielle), avvicinamento e allontanamento (tra la donna e gli uomini della sua vita), abbraccia e scaccia – i personaggi e anche lo spettatore – e lo fa lentamente, talmente tanto lentamente da sembrare bloccato. Basta però un dialogo (quello tra la protagonista e un uomo che lavorava per l’ufficiale da lei conosciuto ai tempi del ricovero) per scoprire le carte; quella statica costruzione che poggia su realtà e illusione va in frantumi e ha inizio un altrettanto lento risveglio che si conclude con il dialogo fra Gabrielle e Josè in cui i due si parlano forse per la prima volta. L’inganno tenero e amoroso del coniuge (le lettere da lui scritte, una notizia non data, una verità nascosta) si scioglie nel finale quando alla domanda “perché non me lo hai mai detto?” replica “perché volevo che vivessi”.

Garcia semina il cammino dei suoi personaggi di indizi che fanno intuire allo spettatore ciò che si comprende solo alla fine: l’ufficiale è morto e la persona con cui ha avuto il figlio, l’uomo che le ha scritto tutte quelle lettere, è il marito. Mal di pietre è un film non privo di imperfezioni ma che sicuramente si risolleva in un finale che celebra la (ri)nascita di una donna, di una coppia e di una famiglia.