Da V per Vendetta a Polar: i 10 migliori film tratti da graphic novel

Non sono fumetti, e non hanno (tranne rarissime eccezioni) per protagonisti supereroi: le graphic novel stanno entrando nell'immaginario collettivo, grazie anche a una manciata di trasposizioni cinematografiche che dai 2000 a oggi hanno conquistato spettatori, opinione pubblica e critica.

Qual è la differenza fra fumetto e graphic novel? Ci affidiamo, anzitutto, a una definizione: dicesi romanzo grafico un genere narrativo del fumetto in cui le storie hanno carattere autoconclusivo e possiedono un intreccio sviluppato. Queste “novelle” sono generalmente rivolte a un pubblico adulto, in contrapposizione ai fumetti che, storicamente, sembrano indirizzati ai ragazzi e agli adolescenti. Ma questa distinzione così netta lascia in verità oggi il tempo che trova: basta guardare – o leggere – uno dei capitoli più cupi del Marvel Universe (come l’Infinity War degli Avengers) per capire che anche i comics sono perfettamente in grado di sviluppare riflessioni sociali, culturali e storiche trasversali e universali, degne delle più importanti espressioni artistiche.

Nella attuale crisi di idee del cinema contemporaneo americano (ma non solo), la letteratura disegnata è diventata una vera e propria miniera d’oro a cui attingere, con una particolare predilezione per i supereroi Marvel (Iron Man, Thor e Black Panther, tanto per pescare dal mucchio) e DC (Superman, Wonder Woman, Aquaman). Tuttavia a prendere sempre più piede sono le trasposizioni d’autore dei romanzi grafici, che qua e là fanno capolino nelle nostre sale lasciando quasi sempre il segno. Ecco a voi allora una carrellata dei migliori (e a volte inaspettati) film desunti da graphic novel.

I 10 migliori film ispirati a graphic novel, da Ghost World ai giorni nostri

Ghost World (Terry Zwigoff, 2001)

In un periodo in cui fumetti e affini facevano ancora parte di una sottocultura popolata quasi esclusivamente da nerd e da lettori che si vergognavano di un hobby ritenuto erroneamente infantile, il regista Terry Zwigoff (che nel 2003 girerà il cult Babbo bastardo) decide di portare al cinema uno dei lavori più acuti di Daniel Clowes, Ghost World. Sulla carta, quasi un suicidio artistico, e invece no: il film riceverà una sorprendente candidatura agli Oscar per la Miglior Sceneggiatura Non Originale e porterà alla ribalta due giovanissime attrici, Thora Birch e Scarlett Johannson.

Per la critica Ghost World fu un piccolo shock: la storia delle due 18enni all’ultimo anno di superiori non ha nulla a che fare con i teen movie realizzati fino a quel momento. La scrittura è sarcastica, a tratti feroce, spesso disillusa e disincantata; in perfetta sintonia con la graphic novel di riferimento, che in effetti ragiona sul mondo fantasma delle periferie statunitensi con stile caustico e sovversivo. Eccezionale la colonna sonora, che annovera fra gli altri Skip James, i The Buzzcocks e Ashford & Simpson.

La vera storia di Jack lo squartatore (Fratelli Hughes, 2001)

La vera storia di Jack lo squartatore: leggi qui la recensione del film con Johnny Depp

Alan Moore, un nome e molte leggende: scrittore, musicista, cantautore e persino occultista. Dai suoi scritti sono state tratte ben quattro opere cinematografiche, a partire dai 2000: La vera storia di Jack lo squartatore, La leggenda degli uomini straordinari (2003), V per Vendetta (2005) e Watchmen (2009). Nonostante questa popolarità, lui ha sempre disconosciuto le pellicole, rigettando in toto la paternità dei soggetti.

From Hell (titolo originale sia del film che della graphic novel) è un sordido e morboso viaggio agli inferi: si narra del poliziotto Frederick Abberline, che nel biennio 1888-1889 si mise sulle tracce di Jack lo squartatore, il misterioso assassino seriale che terrorizzò Londra mettendo a segno una serie di efferati omicidi. Storicamente seducente ma poco attendibile, il giallo dei Fratelli Hughes ricalca fedelmente il romanzo grafico riproducendone con efficacia le atmosfere plumbee e claustrofobiche.

Era mio padre (Sam Mendes, 2002)

Un cast di superstar (Tom Hanks, Jude Law, Daniel Craig e Paul Newman, alla sua ultima apparizione), una regia di alto profilo (Sam Mendes era reduce dall’overdose di premi ottenuta con American Beauty, 1999) e una produzione di primissimo livello (Steven Spielberg e la sua DreamWorks): questo è Era mio padre, solida pellicola gangster – vincitrice di un Oscar – ispirata a Road to Perdition di Max Allan Collins, autore principalmente conosciuto per le sue novellizzazioni noir e thriller e per la collaborazione al franchise di CSI – Scena del crimine.

È lo stesso Collins a offrire la descrizione migliore del film di Mendes: “Avevo immaginato il racconto come una storia di John Woo, ma ne hanno fatto Il Padrino e va bene lo stesso!”. Era mio padre trae spunto da eventi reali, riguardanti il boss irlandese John Looney e il sottobosco criminale della Grande Depressione e del proibizionismo anni ’20/’30. Se messi a confronto, romanzo grafico e film appaiono in effetti diversi: pop e votato all’action il primo, più classico – nella miglior accezione del termine – e introspettivo il secondo.

V per Vendetta (James McTeigue, 2005)

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La maschera di Guy Fawkes ormai è diventata una icona dei nostri tempi, presa a prestito dal collettivo di hacker conosciuto col nome Anonymous e da chi, in generale, si pone in difesa della libertà di pensiero e di espressione. Questa identificazione nasce dalla serie V for Vendetta, scritta da Alan Moore e disegnata da David Lloyd nel 1982. Cuore pulsante dell’opera è la ribellione di mister V, un misterioso uomo senza volto, nei confronti del regime totalitario che ha schiacciato la Gran Bretagna, in un immaginario mondo distopico futuro.

Esplosivo e incalzante, V per Vendetta arriva al cinema nel 2005 grazie alle sorelle Wachowski, che producono e scrivono ma non dirigono, e grazie a James McTeigue, regista all’esordio con alle spalle una buona esperienza sul set in virtù delle collaborazioni con George Lucas e Martin Campbell. Non tutto nel film quadra, ma è innegabile che i due prodotti (graphic novel e pellicola) siano entrati di diritto nell’immaginario culturale contemporaneo, andando probabilmente ben oltre gli obiettivi iniziali.

300 (Zack Snyder, 2007)

Difficile giudicare 300, film di grande impatto visivo che grazie alla tecnica del chroma key cerca di riprodurre fedelmente le immagini delle tavole disegnate. C’è chi l’ha celebrato (“300 è il Quarto potere dei fumetti cinematografici”, scrisse il Chicago Sun Times), chi negli anni ne ha ridimensionato i pregi, chi l’ha parodiato (3ciento… chi l’ha duro la vince, del 2008, ma anche Leo Ortolani col suo irresistibile fumetto 299+1). Di sicuro l’opera di Zack Snyder ha scatenato un dibattito, ridando nuova luce anche alla graphic novel del maestro Frank Miller, scritta nel 1998.

Per chi ancora non lo sapesse, si narra la Battaglia delle Termopili, dal punto di vista del re di Sparta Leonida. E ci si prende grandi libertà narrative, tratteggiando ad esempio Serse come una sorta di dandy tappezzato di piercing ed Efialte (il traditore) come un gobbo. La violenza stilizzata, l’ipertrofia epica e muscolare della vicenda, le inesattezze storiche cavalcate con orgoglio e sfacciataggine hanno fatto in qualche modo storia, portando alla realizzazione, nel 2014, di un superfluo seguito: 300 – L’alba di un impero.

Watchmen (Zack Snyder, 2009)

Ancora Zack Snyder: dopo 300 il cineasta americano mette le mani su Watchmen, miniserie a fumetti del 1987 (raccolta in volume unico nello stesso anno, e quindi ascrivibile alla categoria delle graphic novel) scritta da Alan Moore e disegnata da Dave Gibbons. Come già accaduto per From Hell, Moore si dissocia dalla realizzazione del film; ma non viene seguito da Gibbons, che invece collabora alla sua realizzazione assieme al regista Snyder e agli sceneggiatori Hayter e Tse.

Affascinante e di difficile classificazione, Watchmen entra a gamba tesa nella distribuzione mondiale dopo i primi due capitoli del Marvel Cinematic Universe (Iron Man e L’incredibile Hulk, entrambi del 2008), confondendo le idee al pubblico meno preparato e soprattutto mettendo in mostra un approccio quasi antitetico a quello del cinecomic: quello di Watchmen è un multiverso ucronico, in cui la Storia viene ridisegnata a partire da eventi immaginari. Nixon è ancora al potere, la Guerra Fredda non si è mai conclusa e il mondo viene difeso da sei supereroi mascherati, afflitti da enormi ed esistenziali superproblemi. Un’opera d’arte incompresa, in anticipo sui tempi.

Scott Pilgrim vs. the World (Edgar Wright, 2010)

Coloratissimo, sentimentale, nostalgico e al contempo postmoderno, Scott Pilgrim vs. the World mette in scena la disperata battaglia di un ventenne amante dei videogiochi e della musica rock per la conquista della ragazza dei suoi sogni, Ramona. Per raggiungere il suo obiettivo il protagonista dovrà sconfiggere – proprio come nei livelli di un videogame – i sette malvagi ex della giovane, posseduti da insospettabili poteri mistici riguardanti fra gli altri l’arte dello skateboard e della dieta vegana.

Una corsa contro il tempo, un ottovolante a rotta di collo, che rende giustizia alla graphic novel originale (in verità, una serie composta da sei volumi) di Bryan Lee O’Malley – che appare in una breve sequenza del film – e che indovina un cast di giovani promesse poi mantenute: Michael Cera, Mary Elizabeth Winstead, Anna Kendrick, Brandon Routh e Brie Larson. A chiusura del cerchio, una ricercata colonna sonora composta da brani dei Rolling Stones, di Beck e dei Black Lips.

La vita di Adele (Abdellatif Kechiche, 2013)

La vita di Adele: recensione del film con Adèle Exarchopoulos

Dapprima amatissimo e celebrato (soprattutto nel momento della sua vittoria a Cannes nel 2013), poi rivalutato in negativo e ridimensionato, in seguito alle dichiarazioni delle due protagoniste Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos: La vita di Adele è un film controverso, come controversa è tutta la carriera del regista Abdel Kechiche. Sul crinale della morbosità e del voyeurismo, si svolge la storia di Adele ed Emma: un rapporto appassionato di reciproca scoperta sentimentale e sessuale, tratteggiato dal regista con toni carnali ai limiti della pornografia.

L’autrice del romanzo a fumetti di riferimento, Julie Maroh, ha preso le distanze dal film, ritenuto lontano dallo spirito della sua opera: il suo Il blu è un colore caldo (titolo che rimanda alla tinta dei capelli di una delle due protagoniste) tratta l’erotismo con una delicatezza e una sensibilità quasi opposte all’aggressività e alla gratuità della pellicola che, sempre secondo la disegnatrice, è “frutto di un’interpretazione tipicamente maschile”.

Atomica bionda (David Leitch, 2017)

Atomica bionda: scopri qui la colonna sonora esplosiva del film con Charlize Theron

Forse non tutti sanno che anche l’irresistibile spy story Atomica bionda, ambientata nella Berlino del 1989 alla vigilia del crollo del muro, è tratta da una graphic novel. Trattasi di The Coldest City (2012), scritta da Antony Johnston e disegnata da Sam Hart. Il regista David Leitch (dietro la macchina da presa anche per John Wick, 2014, e Deadpool 2, 2018) eleva all’ennesima potenza il gusto per l’estetica e per le plastiche scene d’azione presenti nelle tavole illustrate, regalando agli spettatori un’opera nostalgica (elemento soprattutto presente in colonna sonora) ma perfettamente associabile alle avventure spionistiche di James Bond.

La protagonista Charlize Theron – che svolge in prima persona anche tutte le sequenze di combattimento, senza l’ausilio di stuntman o stuntwoman) non si limita alla recitazione, ma produce anche la pellicola; per sua voce, nei mesi successivi all’uscita in sala del film, è arrivata anche la conferma di uno o due sequel (tuttavia, ancora in fase embrionale), necessari per completare e render merito all’arco della storia narrata nel romanzo grafico.

Polar (Jonas Akerlund, 2019)

Polar: leggi qui la spiegazione del film Netflix con Mads Mikkelsen

Presa a sé, la trama non è particolarmente originale: Polar racconta di un sicario, ormai virtualmente in pensione, costretto a tornare in azione a causa di una minaccia incombente che riguarda la sua stessa vita e proveniente dalla sua medesima organizzazione. A rendere degno di menzione il film Netflix è, tuttavia, la regia di Jonas Akerlund, uno dei più importanti autori contemporanei di videoclip (nel suo portfolio – tra gli altri – Lady Gaga, Beyoncé, Madonna e Coldplay). Polar rispetta e amplia il webcomic originario di Victor Santos Polar – Came from the Cold, che omaggia il noir e si caratterizza per la totale assenza di dialoghi.

La pellicola, che ricorda l’immaginario di John Wick, è attraversata da colori ipersaturi e incastonata in una violenza caricaturale, e funziona anche per la curiosa alchimia che si instaura fra i due attori protagonisti: uno scontroso e silente Mads Mikkelsen, nei panni del killer Black Kaiser, e una timida e trattenuta Vanessa Hudgens, in quelli della apparentemente sconosciuta Camille. Dalle parti – e nel rispetto – del pulp, un piccolo/grande piacere proibito che non merita di passare inosservato, nel mare di proposte della piattaforma di produzione e distribuzione on line.