Clinical: la spiegazione del finale del thriller psicologico Netflix con Vinessa Shaw

Un intreccio ricco di nodi difficili da districare è alla base di Clinical, thriller horror Netflix dallo svolgimento confuso ma ricco di spunti interpretativi.

Clinical è il thriller psicologico dal gusto horror per la regia di Alistair Legrand, disponibile su Netflix come prodotto originale della piattaforma di streaming on demand. Un film centrato sul complesso intersecarsi delle vicende private di una psicoterapeuta, Jean (Vinessa Shaw), alle prese con un trauma irrisolto, dovuto all’aggressione di una paziente adolescente, Nora (India Eisley) con disturbi autolesionistici di origine post-traumatica.

La dottoressa Jean aveva scoperto che dietro ai disturbi della paziente si celavano episodi di violenza sessuale perpetrati quasi quotidianamente da una figura non chiara, che Nora sembrava voler rimuovere ed identificava solo come un mostro. Sotto l’insistenza della dottoressa, motivata a scoprire l’identità dell’aggressore al fine di liberare (e guarire) Nora, la ragazza era arrivata a capire chi fosse il misterioso violentatore, ma l’inaccettabilità di tale rivelazione l’aveva portata a raggiungere lo studio della sua psicoterapeuta in stato di shock e a tentare davanti a lei il suicidio recidendosi la giugulare con un pezzo di specchio, dopo essersi torturata i polsi e aver ferito gravemente la dottoressa.

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L’immagine di Nora intenta ad aggredirla e poi a tentare di togliersi la vita diviene persecutoria per Jean – non solo per l’evento traumatico in sé – ma anche per la percezione di un subdolo senso di fallimento, che le fa pensare di non essere stata in grado di aiutare la sua paziente (che quella notte agì sotto l’effetto di farmaci da lei prescritti) spingendola verso territori che non era ancora pronta ad esplorare. Per tali motivi Jean decide di non occuparsi più di pazienti post-traumatici (essendolo tra l’altro diventata lei stessa, anche se non troppo consapevolmente), considerati troppo pericolosi data la possibilità del verificarsi di eventi simili a quelli da lei subiti, in caso l’elaborazione del trauma non vada a buon fine.

Clinical: una psicoterapeuta scissa fra il desiderio di aiutare il prossimo e la necessità di guarire prima se stessa

Jean vede regolarmente un collega che gli fa da supervisore (il dr Saul) ma col quale non sembra riuscire ad affrontare i nodi dei propri problemi. Approfittando della sua fiducia e distrazione, la donna gli sottrae regolarmente fogli di ricettario per auto prescriversi farmaci che la aiutino a controllare l’ansia, compiendo su stessa ciò che si era ripromessa di non fare più con i suoi pazienti, anteponendo all’ascolto dei loro bisogni reali la cura farmacologica per tamponare il sintomo.

Nel frattempo, annunciato dalla percezione di strane presenze e da una telefonata inquietante quanto disperata, alla porta del suo studio si presenta Alex (Kevin Rahm), un uomo col volto orribilmente sfigurato, che implora la dottoressa – un tempo la migliore nel campo – affinché lo aiuti ad elaborare il trauma dell’incidente subìto e ad accettare la sua nuova immagine. Jean inizialmente rifiuta ma, spinta dal desiderio di aiutare l’uomo, finisce per accettare la sua richiesta d’aiuto, accogliendolo nel suo studio.

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Nonostante Alex si riveli da subito invadente, arrivando ad intrufolarsi in casa di Jean sotto effetto di farmaci, la dottoressa non riesce ad abbandonarlo, forse memore del fallimento avuto con Nora, del quale ancora paga le conseguenze.

Intanto la ragazza viene rilasciata dall’ospedale psichiatrico nel quale è rimasta quasi due anni, essendo deceduto il padre che pagava per le sue cure, e l’incubo ricomincia: Nora torna sulle tracce di Jean, determinata a vendicarsi, e la dottoressa finisce in una spirale di alterazione nervosa che la porta (complici i farmaci assunti) a perdere pericolosamente il controllo del confine fra realtà e fantasia, fino a quando una notte scambia il suo compagno, l’agente di polizia Miles Richardson (Aaron Stanford), per la ragazza, colpendolo a morte.

Da qui la vita di Jean si trasforma radicalmente, ora è lei paziente dello stesso istituto nel quale è stata rinchiusa Nora, e deve rispondere di omicidio indotto da abuso di farmaci, ottenuti falsificando le prescrizioni de collega.

Un guaio dal quale può uscire solo collegando gli eventi che l’hanno portata a precipitare tanto in basso: dopo essere riuscita a fuggire dall’ospedale e dalle grinfie di uno psichiatria  decisamente poco empatico, Jean viene rapita da Alex, che si rivela essere il padre abusante di Nora, sfigurato dalla stessa figlia la notte in cui ha scoperto che era lui a molestarla, recandosi poi dalla psicoterapeuta, in stato di delirio.

La psicoterapeuta capisce quindi di essere rimasta vittima di un complesso gioco di malattia e vendetta, in cui l’uomo ha finto la sua morte per poter agire indisturbato contro la dottoressa, rea di aver diviso la sua famiglia spingendo Nora a scoprire la verità. Lo stesso omicidio del suo compagno è stato mediato da Alex, che – penetrando in casa sua mentre la donna dormiva sul divano – le aveva iniettato un farmaco in grado di produrre allucinazioni. Miles si era precitato a casa della compagna per dirle che avevano trovato Nora impiccata (probabilmente con la complicità del padre) poco lontano dalla città, e che dunque il suo incubo era finito.

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A Jean non resta allora che trovare un modo per liberarsi di Alex, che nel frattempo ha ucciso sia il dr Saul che la sua migliore amica Clara.

Da buona psicoterapeuta riesce a sfruttare le debolezze dell’uomo, distraendolo attraverso l’esposizione delle azioni anomale che l’hanno portata a capire che nel cercare vendetta, Alex aveva cercato in realtà aiuto.

Nel frattempo Jean si libera tagliando il nastro che le tiene legate le mani, e riesce a sfuggire alla presa di Alex, ferendolo mortalmente alla gola. L’uomo prova ad inseguirla, riuscendo quasi a fermare la sua fuga mentre tenta di scappare dalla finestra, ma Jean si aggrappa al suo volto dilaniato strappandogli la carne e obbligandolo a mollare la presa. La donna precipita, ma l’altezza ridotta della finestra le permette di rialzarsi quasi illesa, dopo essere svenuta per alcuni minuti.

Tornata in casa, trova Alex di spalle, seduto sul divano in cui era solito accomodarsi durante le sedute di psicoterapia. L’uomo ha deciso di morire (dissanguato) proprio lì, dopo aver terminato di distruggere violentemente il suo volto, a conferma della teoria di Jean sulla sua richiesta d’aiuto.

Il volto inaccettabile che vedeva riflesso nello specchio non era dunque quello di un uomo sfigurato ma quello di un padre che faceva del male alla figlia e che – non riuscendo ad ammettere l’enormità della sua colpa – voleva sfogarla su chi l’aveva portata a galla.

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Il messaggio espresso dal finale del film sembra essere dunque questo: dietro ad ogni mostro si nasconde una storia triste che ha bisogno di essere accolta, pure quando urla a gran voce il contrario.

Tuttavia non essere pronti ad affrontare un trauma può avere conseguenze terribili, che un buon psicoterapeuta (preferibilmente libero da fardelli personali) deve essere in grado di prevenire, agendo in totale empatia col paziente.

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