Ari Aster e Jordan Peele: i due volti del new horror americano

Dopo le uscite di Midsommar e Noi, facciamo un confronto tra i due registi horror più promettenti e inquietanti d’America: Ari Aster e Jordan Peele.

Nel suo ultimo cortometraggio, C’est la vie (che potete vedere gratuitamente su Vimeo) del 2016, Ari Aster metteva in scena il monologo di un homeless sulle sue disavventure. Ritmato come un rap e incalzante come un bolero, a momenti straziante, ad altri corrosivo, ci guida attraverso un’esistenza dura, riempita della sua grande teoria sulla vita occidentale moderna. Il senzatetto disquisisce d’isolamento, alienazione, discordie familiari e malattia mentale, elementi peraltro già presenti negli altri corti di Aster. Sul copione di questo personaggio isterico, però, a un certo punto c’è una battuta in particolare che risuona come oscuro presagio sul tema che stiamo andando ad affrontare, sull’elemento basico che bagna i suoi primi due film. “Sai cosa dice Freud sulla natura dell’orrore? Dice che si presenta quando la casa diventa poco familiare. Unheimlich. Ed è quello che è diventato tutto questo posto. Per tutto questo tempo, e il fottuto paese e tutto il resto”. In tedesco Unheimlich vuol dire pauroso. Ed è proprio dalle certezze basilari che partono i nuovi fili della paura su grande schermo imbastiti da Aster, così come dal suo collega Jordan Peele.

Ari Aster Jordan Peele cinematographe.it

Ari Aster sul set di Hereditary

Ari Aster e Jordan Peele: la famiglia come luogo maledetto

Il 4 aprile è uscito in Italia Noi – Us, di Jordan Peele, e il 25 luglio è apparso nelle nostre sale anche Midsommar, di Ari Aster. Entrambe opere seconde seguite agli esordi di Scappa – Get Out per il primo e a Hereditary – Le radici del male per Aster. Le opere prime parlavano di famiglia. In Peele la borghesia bianca, malata di un razzismo killer, si gonfiava come una bolla di ferro di cui il protagonista afroamericano di Scappa si faceva eroe braccato da ipnosi e psicanalisi per ammantare di scientificità l’orrore che si sarebbe sviluppato nel racconto filmico. Parallelamente, la famiglia di Hereditary s’incurvava sulle sue miserie dovute a lutti e incomunicabilità, ponendo alla base una linea di misticismo proveniente da antiche leggende.

Midsommar – Il villaggio dei dannati: recensione del film di Ari Aster

La famiglia non è più un luogo sicuro da proteggere dal mostro o da qualsiasi elemento esterno che la minacci, ma è la sorgente del male, sembrano dirci. È un salto importante per capire il giro di volta che questi due registi imprimono sul cinema di genere costruendo un vero e proprio new horror. Le mura domestiche portano minacce ataviche, profonde e inconoscibili che Peele mette in scena con visi allucinati e giochi hitchcockiani intrisi di black-culture, mentre Aster guarda all’efferatezza delle immagini, sia con atti violenti che con visi inquietanti, che nel film successivo saranno anche deformi.

Ari Aster Jordan Peele cinematographe.it

Jordan Peele sul set di Scappa – Get Out

Con Midsommar Aster scivola dalla famiglia alle incomunicabilità di coppia. La morte ruota intorno a questo elemento nel bizzarro circo umano in chiave hippie di questa comune svedese. Il suo cinema si apre visivamente in ambienti bucolici e patinati, ma s’introduce nei meandri bui della gelosia e del tradimento. Con Hereditary c’erano invece molti interni a inscatolare scenari di coralità e complessità familiare. Una coppia con due figli ne perdeva una, e il male riemergeva per impossessarsi di ogni personaggio scuotendo il pubblico a dovere.

Cinematographe.it presenta Noi di Jordan Peele

Con l’opera seconda l’orrore abbraccia lo splatter, contempla la deformità in maniere ancora più subdole e utilizza moltissimi elementi socio-antropologici per ordire un film pari in raccapriccio solo all’Antichrist di Von Trier.

Nei film di Jordan Peele la famiglia risulta come un gioco di specchi e illusioni. Se in Scappa la casa dei genitori borghesi dove una giovane porta il suo fidanzato per la prima volta si rivela come una vera e propria trappola, in Noi la famiglia viene osservata come riflesso delle sue miserie. Una favola nera che parla di violenza tra un sottomondo di umani sosia di tutti quelli che sono siamo noi e rivincita di un bene comunque mescolato al male getta nuove soluzioni stilistiche per destabilizzare qualsiasi spettatore.

Un percorso idealmente inverso rispetto ad Aster. Questo regista tende a stringere il tema del suo giovane cinema dalla famiglia alla coppia, mentre il premio Oscar per la Migliore sceneggiatura originale allarga lo scenario familiare dalla doppiezza morale allo sdoppiamento fisico, stimolando una serie di turbamenti ed emozioni contrastanti nel pubblico.

Noi: spiegazione del film di Jordan Peele

Ari Aster Jordan Peele cinematographe.it

Ari Aster sul set di Midsommar

Ari Aster e Jordan Peele: il new-horror wasp e il new-horror black

I nostri due registi del momento, entrambi newyorkesi e facce della stessa medaglia cinematografica sono anche legati dalle positive esternazioni di Peele su Midsommar, il nuovo film di Aster definito “atrocemente disturbante”. Giudizio condivisibilissimo peraltro. Giungiamo così a un’osservazione più prettamente antropologica accostando Peele a storie black, di afroamericani, e Aster a drammi wasp, quindi riguardanti i bianchi.

Jordan Peele su Midsommar: “un iconico film pagano con immagini scioccanti”

Il cinema di Peele guarda al popolo di afroamericani utilizzando culturemi black per raccontare le tensioni razziali dell’America di oggi; in Scappa gli elementi in scena si scontrano con i personaggi wasp. La ragazza del protagonista, con l’ambiente borghese della sua famiglia, contribuisce ad alzare i toni critici dell’autore verso una società divisa. In Noi il regista utilizza i vicini ricchi, bianchi e superficiali dei protagonisti a servizio di una spietata metafora sulla società americana più a tutto tondo, dove le tensioni razziali rimangono laterali, come i vicini in questione, per dare spazio a una critica verso la doppiezza umana e alla lotta tra bene e male, anche quando questi si travestono l’uno dall’altro.

Ari Aster parla di personaggi bianchi, il suo cinema è più formale ma affonda il coltello delle sue storie con maggiore crudeltà. Se in Peele c’è sempre anche tanta autoironia, la voglia di alleggerire lo spettatore con scene più dinoccolate a intervallare le tensive, Aster segue linee meno curve. Si occupa di una storia dove muoiono per primo l’uomo con la pelle nera, come in tanti horror anni Ottanta, o la ragazza problematica (scusate gli spoiler).

Midsommar – Il villaggio dei dannati: la spiegazione del finale del film

Sarà pure casuale, ma avere contemporaneamente sul mercato due giovani e già mirabili registi horror, uno afroamericano e l’altro bianco, dedicati ognuno principalmente a linguaggio e culturemi legati strettamente alla propria sottocultura, sembra quasi una di quelle divisioni sbocciate più o meno casualmente dal mercato libero per differenziare nettamente il prodotto (in questo caso il film) e segmentare il pubblico in base a classi sociali e colore della pelle. E in anni trumpiani sappiamo purtroppo quanto sia deleterio separare al posto di unire.

Ari Aster Jordan Peele cinematographe.it

Jordan Peele sul set di Noi – Us

In senso costruttivo, per questo stridore, i due registi potrebbero venire accostati a due nipoti putativi di George Romero, che mezzo secolo fa, con il pop di zombie e supermercati denunciò consumismo e lotta tra classi sociali nell’America di belle speranze, pacifista in patria e guerrafondaia in Asia. Tutto ciò vuol dire che questi due nuovi autori contano già molto nel panorama cinematografico, e probabilmente stanno scrivendo qualcosa che osserveremo ancora meglio più avanti negli anni. Quindi se le divisioni non vi interessano, il consiglio è: se vi piace l’horror cercate di guardare i quattro film di Jordan Peele e Ari Aster, perché ne otterrete brividi completamente nuovi.