Challengers: dov’è stato girato? Le location del film di Luca Guadagnino

Challengers è uno dei film più amati di Luca Guadagnino, ecco le location che lo hanno reso iconico!

C’è qualcosa di febbrile in Challengers, qualcosa che pulsa sotto la pelle prima ancora che una racchetta colpisca la palla. Luca Guadagnino accende un doppio fuoco: da una parte la superficie patinata del tennis professionistico, dall’altra un vortice di desideri, gelosie e ossessioni che si intrecciano tra tre personaggi legati da un destino capriccioso. Zendaya guida il racconto con un carisma quasi ipnotico, trasformando Tashi Duncan in un corpo celeste attorno al quale gli altri ruotano senza trovare mai un equilibrio definitivo.

Non è un film sul tennis, e nemmeno un film sulle relazioni. È un film su quella zona grigia dove l’ambizione si confonde col sentimento e dove la vittoria diventa un bisogno feroce. In questo magma emotivo, le location diventano una bussola invisibile: tracciano i confini di un mondo caotico, intricato, che Guadagnino osserva con lo sguardo di chi sa trasformare gli ambienti in detonatori emotivi. E, tra un match e l’altro, è inevitabile immaginare cosa si potrebbe mangiare tra una pausa e l’altra: un panino al pastrami fumante in un deli storico di Boston, oppure un dolce a base di mirtilli locali, che richiama i sapori della Nuova Inghilterra.

Challengers: le location americane: la Boston di Guadagnino

Luca-Guadagnino-Challengers-cinematographe.it

Boston, in Challengers, non è una semplice città: è una lama affilata. Ti entra negli occhi con le sue linee dritte, il suo ritmo nervoso, quella luce leggermente fredda che sembra fatta apposta per raccontare tensioni che covano senza esplodere del tutto. È qui che Guadagnino colloca gran parte delle riprese, scegliendo quartieri come Back Bay ed East Boston, dove l’architettura alterna rigore e vulnerabilità, proprio come i protagonisti.

Tra un allenamento e un incontro, la città osserva silenziosa le loro oscillazioni emotive. E mentre il film sembra evocare i grandi stadi degli US Open, scopriamo che non c’è traccia del Queens: Guadagnino preferisce restare nei confini del Massachusetts, muovendosi tra Bedford, Beverly, Braintree, Canton, Framingham, Lynn e Norton. Luoghi in cui il tennis respira più a fondo, lontano dal clamore e più vicino all’intimità delle sue crepe.

E mentre il sole cala su Boston, vale la pena immergersi anche nella gastronomia locale: una zuppa di clam chowder calda e cremosa in un ristorante sul porto, o un lobster roll, che racchiude tutta la freschezza del mare e l’energia urbana che Guadagnino ha scelto come cornice. Questi sapori non sono solo cibo, ma un modo per assaporare la città come i personaggi la vivono, tra frenesia e pause necessarie per riprendersi dall’intensità dei match.

Cinecittà: l’Italia che scolpisce l’intimità del film

Challengers; Cinematographe.it

E poi c’è Cinecittà, che arriva come un soffio diverso, un respiro più lento, una parentesi dove il racconto si ripiega dentro se stesso. È negli studi romani che la produzione ricostruisce alcuni ambienti chiave, modellandoli con la precisione di un orologiaio. Cinecittà non imita Boston: la trascende. Diventa il cuore segreto del film, il luogo in cui i personaggi non possono più fingere, dove le loro maschere cedono e rimane solo ciò che li muove davvero.

Qui Guadagnino può controllare la luce, il silenzio, gli spazi. Può dare forma esatta alle emozioni, come se il set fosse una mente aperta in cui tutto trova un posto. E, tra una scena e l’altra, l’immaginazione corre ai profumi della cucina romana: un piatto di cacio e pepe fumante, un supplì croccante o un gelato artigianale che sa di estate italiana. Sapori semplici ma incisivi, capaci di evocare la familiarità e l’intimità che il regista trasferisce nella pellicola.

Challengers: location come linguaggio visivo

Josh O'Connor di Challengers cinematographe.it

In Challengers, i luoghi non sono sfondi: sono vene. Portano sangue, ritmo, senso. Boston con la sua frenesia urbana incarna la competizione, la corsa al risultato, il ring di un mondo che non perdona. Cinecittà, invece, apre un varco verso l’interiorità, un luogo sospeso dove l’emozione non è più ingabbiata dal rumore esterno.

È il cinema di Luca Guadagnino nella sua forma più pura: un cinema che abita gli spazi e li ascolta, che trasforma ogni ambiente in una scena madre, che affida alle location e ai sapori dei luoghi il compito di raccontare ciò che le parole, da sole, non potrebbero contenere. Che sia un lobster roll a Boston o un piatto di carbonara a Roma, la cucina diventa un filo invisibile che lega spettatore e personaggi, tra frenesia e intimità, tra competizione e desiderio.