Venezia 73 – White Sun: recensione

Nella sottovalutata sezioni Orizzonti di Venezia 73 arriva White Sun (Seto Surya), secondo lungometraggio del regista nepalese Deepak Rauniyar, che nel 2012 era stato selezionato per il Festival di Berlino con il suo Highway. Il film è ambientato poco dopo la fine della guerra civile nepalese, un sanguinario conflitto fra guerriglia maoista e sostenitori della monarchia che fra il 1996 e il 2006 ha mietuto migliaia di vittime in tutto il paese.

Deepak Rauniyar gestisce bene il materiale a propria disposizione, dando vita a una storia che riesce a coinvolgere gli spettatori di ogni latitudine

Protagonista della storia è Chandra (Dayahang Rai), un partigiano oppositore del regime che dopo dieci anni fa ritorno al suo villaggio per assistere al rito funebre del suo deceduto padre insieme a Badri (Amrit Pariyar), un orfano che voci dicono essere suo figlio. Ad aspettarlo a casa c’è la piccola Pooja (Sumi Malla), convinta che lui sia suo padre, ma anche molte persone appartenenti alla sua opposta fazione, fra cui suo fratello Suraj (Rabindra Singh Baniya). Il trasporto del cadavere del padre di Chandra verso il fiume dove deve essere cremato farà rimergere vecchi conflitti e dissapori, simbolo di una nazione ancora spaccata in due.

White Sun stupisce infatti anche con una trama profonda e complessa

White Sun colpisce fin dai primi minuti lo spettatore, grazie a una messa in scena che non risente del basso budget e che rende onore alle bellezze del territorio del Nepal, vero e proprio personaggio della pellicola. Non si pensi però di trovarsi di fronte a una pellicola dal taglio documentaristico, volta esclusivamente a mostrare le meraviglie di un territorio dall’indiscutibile fascino e per larghi tratti ancora incontaminato dal caos dell’uomo. White Sun stupisce infatti anche con una trama profonda e complessa, che affronta scottanti temi particolarmente sentiti dal popolo nepalese (e non solo), come la difficile situazione politica, il senso di appartenenza alla propria terra e alla propria famiglia e soprattutto il rispetto di tradizioni antiche, ma ancora particolarmente sentite dalla stragrande maggioranza della popolazione.

White Sun colpisce fin dai primi minuti lo spettatore, grazie a una messa in scena che non risente del basso budget

White Sun vive soprattutto sull’incontro/scontro fra tre generazioni diverse, ognuna con le proprie credenze e la propria concezione della vita. Da una parte ci sono gli anziani nepalesi, ancora legati a tradizioni difficili da superare, a un’anacronistica condizione della donna, sottomessa all’uomo ed esclusa dalle più importanyi celebrazioni, e a una concezione della società come un sistema di caste, in cui le fasce più basse sono progressivamente escluse da attività religiose e sociali. Diametralmente opposto l’approccio alla vita dei piccoli Badri e Pooja, liberi da preconcetti e pregiudizi e ancora incapaci di comprendere i piccoli grandi dissidi che gli adulti si cercano e si trascinano dietro per anni.

In mezzo a queste due fazioni sta il protagonista Chandra, simbolo di una fetta della nazione che vorrebbe lasciarsi alle spalle alcuni riti sociali e religiosi ormai antiquati e privi di senso. A complicare ulteriormente le cose c’è un conflitto politico concluso solo sulla carta, ma che in realtà, insieme a contrasti familiari che il tempo ha solo potuto attenuare, esacerba ancora di più i contrasti fra conservatori e riformisti.

Pur con mezzi ridotti e una struttura narrativa abbastanza lineare, White Sun ci guida in un affascinante viaggio

Deepak Rauniyar gestisce bene il materiale a propria disposizione, dando vita a una storia che riesce a coinvolgere gli spettatori di ogni latitudine e a raccontare una parte di mondo lontana dalle nostra cultura e dalla nostra quotidianità, ancora radicata su pensieri e credenze discutibili, ma anche ricca di un non totalmente espresso potenziale umano. Gli attori protagonisti non sfigurano, e riescono sempre a rendere credibili i turbamenti e i contrasti dei loro personaggi. Buona anche la fotografia di Mark O‘Fearghail, che esalta sia i momenti più cupi e carichi di tensione, sia le ambientazioni naturali che fanno da sfondo alla storia.

Pur con mezzi ridotti e una struttura narrativa abbastanza lineare, White Sun ci guida in un affascinante viaggio all’interno di un territorio sconosciuto ai più come il Nepal, accompagnandoci in un viaggio per la sepoltura di un padre, ma che simbolicamente sotterra anche una parte di storia del paese, affidando ai bambini la speranza di un futuro più sereno e pacifico.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.3