Valley of Gods: recensione del film di Lech Majewski

Il film con John Malkovich è un’opera sensoriale in cui mitologie arcaiche e ipercontemporanee si confrontano.

Distribuito da CG Entertainment e Lo Scrittoio, che hanno pazientemente atteso le riaperture per consegnare il film alla sua destinazione naturale (la sala, dove sarà dal 3 giugno 2021), Valley of Gods è un’opera sensoriale, le cui immagini abbacinano e stordiscono chiedendoci di ammirare la potenza di ciò che c’è al mondo e di riflettere sull’inconsistenza delle nostre mitologie mortifere.

Costruito per tabliaux vivants giustapposti e, dunque, privo di struttura verticale, Valley of Gods non è un film di difficile decodifica, bensì un’opera che si pone al di là della comprensione razionale e chiede allo spettatore di essere prima percepita, poi fantasticata a partire da impressioni.

Non è un caso che la distribuzione abbia atteso l’attenuarsi della crisi pandemica e la stagione delle riaperture per poterlo portare nelle sale, dal 3 giugno prossimo: schiacciato nei piccoli schermi dei nostri laptop l’aspetto che del film più seduce  la costruzione plastica delle immaginiil sontuoso apparato estetico, non privo di citazionismi, tra cui l’omaggio al cinema sorrentiniano e qualche eco malickiana – sarebbe andato incontro a un’inevitabile umiliazione.

Lech Majewski: un regista polacco in continuo dialogo con l’arte figurativa (e con il cinema degli altri)

Suggestioni sorrentiniane in ‘Valley of Gods’ di Lech Majewski

Majewski è un regista polacco in dialogo da sempre con l’arte figurativa e neanche in questo suo ultimo lungometraggio sembra voler tradire l’impostazione (e l’ispirazione) icastica del suo lavoro. “Mio zio insegnava al conservatorio di Venezia e io lo andavo a visitare spesso. Così conobbi il Giorgione, Bellini, l’arte veneziana e poi gli artisti fiorentini” ha ricordato in occasione della conferenza stampa di presentazione del film. Da quell’incontro con la pittura italiana, la sua scelta di diventare anch’egli pittore, scelta poi rinegoziata quando sono emersi interessi più specifici per il mondo del cinema. 

Ne Il giardino delle delizie (2004) Majewski omaggiava Bosch attraverso la storia di una coppia di amanti che, in una Venezia tanto gravida di prodigiose bellezze quanto lugubre, consumava nell’appagamento estetico e sensuale gli ultimi giorni di lei, malata terminale. In Onirica (2014) l’immaginario dantesco convocato nell’omaggio esplicito alla Divina Commedia appariva appesantito da un turgore visivo fitto di simboli nell’intenzione, in verità poco riuscita, di saldare materialità e immaterialità, carne e spirito. 

Valley of Gods: un confronto tra mitologie arcaiche (vitali) e mitologie ipercontemporanee (mortifere)

John Malkovich nei panni dell’uomo più ricco (e infelice) del mondo: il magnate e collezionista d’arte Wes Tauros

In questo suo ultimo film, Valley of Gods, invece, le passioni tristi dell’uomo più ricco del mondo, interpretato da John Malkovich, ricevono la sfida di presenze numinose persistenti; le meste mitologie capitalistiche d’oggi si confrontano con l’eco reboante delle voci di divinità antichissime, sopravvissute nei luoghi un tempo abitati dalle poverissime popolazioni navajo (quegli stessi luoghi che il magnate vorrebbe depredare per estrarne uranio) e nelle storie trasmesse oralmente, nelle loro leggende parche di parole, ma in grado di trafiggere l’essenziale.

Le immagini, cesellate con un virtuosismo pittorico che ci confonde nel sospetto di un eccesso estetizzante, evocano, dunque, questioni radicali: il rapporto tra vita e morte; tra arte e – sempre lei! – morte; tra amore e – di nuovo – morte. 

Valley of Gods: l’avventura percettiva di uno scrittore nel caos dell’esistenza

Josh Hartnett è John Ecas, scrittore in crisi

Le costruzioni immaginative sono allestite a partire da frammenti di percezione che scaturiscono dalla mente di uno scrittore alle prese con il caos interno e una biografia da scrivere (quella del miliardario), con bilanci personali e professionali difficoltosi, con i rimorsi causati da un matrimonio fallito e con il senso di frustrazione per una carriera che non decolla. Il personaggio, interpretato da Josh Hartnett, vorrebbe sondare ed elaborare attraverso la parola scritta il mistero più grande: quello di possedere ricchezze sconfinate senza, tuttavia, riuscirne a godere, l’enigma della felicità che, tanto meno sembra trovare ostacoli, quanto più sfugge.

Eppure la verità è impossibile d’afferrare, l’organicità delle esperienze irraggiungibile. Resta, accanto a ciò che si può simbolizzare, l’intraducibile dell’esperienza estetica (ed estatica), ciò che non può smettersi di non scriversi. Valley of Gods, a dispetto delle apparenze, non è un film complesso; è, al contrario, molto semplice, per così dire ‘epidermico’: si sviluppa tutto in estensione e, pertanto, può e deve cogliersi solo in superficie. 

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 5
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 2

3.2