TFF35 – The White Girl: recensione

The White Girl è il film nato dall'incontro dei registi Christopher Doyle e Jenny Seun, un viaggio in un piccolo villaggio e nei suoi personaggi

Storia di fantasmi che non ci sono, di ragazze invisibili che vogliono essere guardate, di bambini salvatori in un piccolo villaggio. The White Girl è il film giapponese nato dalla sinergia instauratasi tra la novella leva Jenny Suen e il navigato australiano Christopher Doyle (A Way with Words, Warsaw Dark, Hong Kong Trilogy), una collaborazione che però non ha saputo rendere al meglio un’opera che sembra aver cercato di portare questa fusione di nazionalità sia all’interno della struttura narrativa che sul piano visuale della regia, mancando però la riuscita e rivelandosi un’operazione, purtroppo, soporifera.

Sakamoto (Joe Odagiri) si è rifugiato in un vecchio e decrepito rudere, dimora di entità sconosciute, che pur nel suo danneggiato costrutto sa accogliere favorevolmente il ragazzo il quale lì ha deciso di abitare. Una solitudine, quella del giovane, che verrà presto riempita dalla conoscenza con il piccolo Ho Zai (Jeff Hiu), ma soprattutto dall’incontro con una misteriosa, pallidissima ragazza (Angela Yuen) con la quale scatterà subito un legame sincero, dolce, che sicuramente saprà riscaldare il cuore e la pelle dei due solitari giovani. Il tutto sullo sfondo di un raggiro politico, che il protagonista con il suo piccolo amico cercheranno di sventare.

The White Girl – Un ragazzo e una ragazza in una storia invisibile

the white girl

Una ragazza allergica al sole quella dell’opera cinematografica The White Girl, persa in un’isolata vita, sospinta dalle note di una canzone che, a ripetizione, pronuncia parole di libertà. Un ragazzo solitario, in pace nel suo dimenticato paradiso, che si ritrova inaspettatamente coinvolto in un legame e in un’impresa del tutto estranei alle sue previsioni di pace. Molti elementi che la sceneggiatura – lavoro sempre di Christopher Doyle e Jenny Suen – non riesce bene ad amalgamare poiché peccanti di errori a monte, un racconto dagli appigli inefficienti, che si estendono per una durata che sembra infinita.

Pur se dalla regia godibile nella sua ricerca sfiancante di fattura artistica e dalle immagine del paesino marittimo curate dallo stesso Doyle assieme a Tsoi Kubbie – passato da un lungo percorso nel reparto tecnico di molti film e con The White Girl alla sua prima esperienza da direttore della fotografia –, entrambi gli apparati che vanno a comporre la cornice del film non riescono ad emozionare uno spettatore che rimane come distaccato, troppo impegnato a cercare di seguire una storia che fa perdere l’attenzione quasi subito dopo il suo inizio.

The White Girl – Un’idea sfiancante e ripetitiva

the white girl

Tutto si svolge in maniera ripetitiva in The White Girl senza che la scelta di reiterare azioni e parole, gesti e avvenimenti abbia alla fine dell’opera un qualche significato metaforico o rilevante, ma viene posta come principale formula di racconto per un film che mostra dunque di avere una idea troppo piccola che non ha la possibilità di crescere e lasciarsi esplorare. Soggetto appesantito poi da uno sporadico rallenty a far credere inizialmente in un difetto del proiettore, e del quale si rimane dispiaciuti quando invece ci sia accorge che implica un’ulteriore decisione ai fini della manifattura del film.

Neanche il tema del guardare ed essere a propria volta guardati, anche questo buttato un po’ al centro di un’opera che si mostra incapace di puntare su di un buon argomento, è in grado di risollevare una poetica che si presenta nella sua interezza soltanto come una forzatura, una volontà di incontro di tipologie cinematografiche mal abbinate tra loro. The White Girl è un il brano che si ripete con continuità eccessiva e di cui dunque presto ci si tende a stufare, di cui non basta la giusta assonanza nella partitura per apprezzarne le sue sonorità.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 1.5
Sonoro - 1.5
Emozione - 1.5

1.8