Sweet Girl: recensione del film Netflix con Jason Momoa

Sweet Girl è un revenge movie incentrato sul massiccio Ray Cooper, marito e padre di famiglia che sfida la multinazionale farmaceutica colpevole di aver ostacolato la guarigione della moglie.

Dal 20 agosto su Netflix arriva l’esordio alla regia cinematografica di Brian Andrew Mendoza con Sweet Girl, il film con Jason Momoa (Game of Thrones e Aquaman) e con Isabela Moner. Momoa interpreta un padre di famiglia, Ray Cooper che cerca vendetta dopo la morte della moglie per un terribile cancro, durante la malattia Ray e Rachel, la loro figlia, fanno di tutto per far sentire meglio la donna, accompagnandola in ogni momento del suo calvario, non lasciandola mai. Tutto si complica perché arriva sul mercato un nuovo farmaco che sembra dare alla famiglia Cooper nuove speranze, ma la distribuzione viene bloccata per interessi economici e politici.

Sweet Girl: un padre e una figlia

Rachel: “Finché stiamo insieme siamo ancora una famiglia, quindi se non puoi promettermi che resteremo insieme allora verrò con te”

Sweet Girl è un revenge movie incentrato sul massiccio Ray Cooper, marito e padre di famiglia che sfida la multinazionale farmaceutica colpevole di aver ostacolato la guarigione della moglie. Piange, si dispera, sembra distrutto dal dolore per il lutto subito ma poi il desiderio di vendicarsi lo fa reagire e a causa di questo si ritrova coinvolto assieme alla figlia in un piano che li mette in pericolo. Mendoza scrive un film piuttosto semplice, anche troppo, e per certi versi banale, al centro di tutto c’è l’action – corse e fughe, morti e sparatorie vedono Momoa fortissima combattere per chi ama – generato dal dolore, dalla rassegnazione e dalla voglia di vendicarsi di un sistema che non tutela i malati ma che pone al centro le case farmaceutiche. Fondamentale è il rapporto tra Rachel e il padre che prima sono uniti dalla strazio, dalla donna, madre e moglie, che più li ama, dallo sport, entrambi salgono sul ring, poi dalla vendetta tra progetti e ripensamenti.

Sweet Girl cela una serie di riflessioni che sarebbero potute essere interessanti: la questione dell’assistenza sanitaria intesa come diritto primario di ogni essere umano, sia ricco che povero, e quella che riguarda il rapporto tra Rachel e Ray. Il film spiega, mostra come funziona il sistema statunitense che “salva” chi ha possibilità economiche e invece “scava la fossa” a chi non ne ha, tema questo che si intreccia indissolubilmente al legame tra padre e figlia, punto nevralgico dell’intero film. Rimasti soli, stretti dalla sofferenza, rappresentazione di un legame atavico, i due agiscono insieme, si spalleggiano e tentano di frenare l’uno l’altra e viceversa; il loro è un pericoloso piano di giustizia che li porta sull’orla del precipizio, basta poco e potrebbero cade, basta poco e Ray potrebbe perdere la sua unica figlia, e Rachel l’unico genitore rimasto.

Come capita in questo genere di film emerge chiaramente la solita domanda: è lecito, e se sì quando, farsi giustizia da soli? Ray e Rachel non hanno altre possibilità, non riescono ad accettare che la madre/moglie sia morta per gli interessi di un’avida e disumana casa farmaceutica. In che mani è l’essere umano se chi ci dovrebbe curare pensa al proprio tornaconto? Cosa è la politica se non mette al primo posto la tutela dell’individuo ma pensa alle proprie tasche? Domande che sembrano banali ed è questo che sembra essere Sweet Girl in molti momenti, possono essere banali se non sostenute da riflessioni importanti e “studiate”.

Un film che resta troppo in superficie

Il film sta tutto qui, nel racconto di casa farmaceutiche, interessi economici, sanità pubblica e politica, potrebbe essere semmai un punto di partenza, un filo che tiene tutto insieme. Diventa un problema se il film si ferma prima, o proprio lì, rimane in superficie, non approfondendo molto di più di ciò che è chiaro. Mendoza, che ha già lavorato con Momoa – che qui è anche produttore -, stimola lo spettatore ma il tutto sa di già visto, quando si guarda il film si ha la sensazione di assistere ad una pellicola di anni fa che procede a strappi e scossoni. Si tratta di un titolo che mescola dramma familiare, thriller politico e azione.

La famiglia Cooper è una come tante, e la rassicurante figura paterna diventa un uomo accecato dalla rabbia che mette a rischio la vita dell’unica persona che gli è rimasta al mondo, Rachel. In una Pittsburgh scura e pericolosa, Ray e Rachel sembrano bestie feroci alla ricerca della vendetta, braccate dalla polizia, in un’inesorabile Odissea che però arriva addirittura ad annoiare – nonostante il ritmo e i colpi di scena.

Un film zoppicante nonostante Momoa e Moner

Sweet Girl è un film mediocre che giocando con i stilemi tipici del genere non arriva ad esprimersi al meglio, sfrutta il corpo mastodontico di Momoa, la bravura di Isabela Moner ma nulla più. Momoa ha tanto desiderato interpretare questo padre per scrollarsi di dosso l’etichetta di attore bramato dal pubblico femminile ma forse questo non è stato il film giusto per raggiungere l’obiettivo, non tanto per l’interpretazione quanto per il valore dell’opera stessa, la cui struttura zoppica e quando non zoppica risulta poco originale.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 2.5

2.3