Prime Time: recensione del thriller polacco Netflix

Dopo l’anteprima al Sundance Film Festival e una serie di rimandi, l’opera prima di Jakub Piatek con l’astro nascente del cinema polacco Bartosz Bielenia è sbarcata su Netflix. La recensione del thriller rilasciato sulla piattaforma a stelle e strisce il 30 giugno.

Nonostante sia trascorso un ventennio e poco più dal tanto atteso passaggio di Millennio, con tutto il suo carico di speranze, fobie, psicosi e paure al seguito, comprese quelle che si verificassero dei “bug” informatici o che precipitassero gli aerei, la Settima Arte continua a riavvolgere le lancette dell’orologio per tornare a rievocare quei momenti. Lo ha fatto Kathryn Bigelow con il potentissimo Strange Days, quando alla data X mancavano ancora cinque anni, lo ha fatto ora l’esordiente Jakub Piatek, girando il suo Prime Time in piena pandemia, in conformità con i protocolli Covid-19.

Prime Time: la storia di un ventenne che con un gesto eclatante prova a lanciare un messaggio importante a un mondo ormai indifferente e apatico

Prime Time cinematographe.it

Rilasciato su Netflix il 30 giugno dopo l’anteprima al Sundance Film Festival 2021, Prime Time ci riporta al Capodanno del Duemila, mentre in quel di Varsavia imperversano i festeggiamenti. Ed è proprio in quelle ore che il protagonista della pellicola, il ventenne Sebastian, decide di irrompere armato in uno studio televisivo, prendendo in ostaggio una guardia di sicurezza e una famosa conduttrice di un’importante emittente nazionale, con lo scopo di lanciare un messaggio in diretta. Quale esso sia non è dato saperlo, ma lo si intuisce con lo scorrere dei minuti che porteranno al più telefonato degli epiloghi, quando le intenzioni di un gesto potenzialmente rivoluzionario finiscono con l’entrare in rotta di collisione con il muro della burocrazia, l’indifferenza imperante e l’apatia crescente. Sono questi i nemici invisibili, quelli veri, contro il quale si dovrà scontrare suo malgrado il protagonista, qui interpretato dall’astro nascente del cinema polacco Bartosz Bielenia, già visto e apprezzato nel pluridecorato Corpus Christi.

La performance di Bartosz Bielenia è uno dei punti di forza del film

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Proprio la performance di Bielenia e il sali e scendi di tensione che il regista, con la complicità in fase di scrittura di Lukasz Czapski, è riuscito a creare nel corso della timeline (vedi l’intervento del padre, l’evacuazione per l’allarme bomba e la finta diretta che provoca al ferimento della conduttrice), sono i punti di forza di un’opera altrimenti altalenante, a causa di una discontinuità e di imperfezioni che ne indeboliscono l’architettura narrativa e drammaturgica portante. Debolezze determinate con molta probabilità dalle limitatezze imposte dalle condizioni in cui il regista, la crew e il cast hanno dovuto affrontare per portare a termine un film che richiama le atmosfere di fine millennio, ma nel quale si respirano a chiari polmoni le tensioni dilaganti del presente che il cinema e gli addetti ai lavori stanno vivendo in epoca pandemica.

Un kammerspiel concepito in un’unità spazio temporale

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Prime Time nel suo essere un kammerspiel concepito in unità spazio temporale, con uno studio televisivo che diventa il ring di una battaglia fisica e psicologica di un singolo contro tutti (dalle forze speciali ai negoziatori, passando per mitomani e i tentacoli dell’opinione pubblica), è fisiologicamente un “figlio audiovisivo” dei nostri tempi, in cui persone barricante in un interno provano, anche disperatamente e con gesti eclatanti, a lanciare dei messaggi all’esterno per comunicare qualcosa al mondo. Ed è quello che prova a fare Sebastian nel momento stesso in cui fa irruzione nello studio, portando avanti un estenuante botta e risposta con chi c’è dietro il vetro della cabina di regia. Atto che seguendo altre dinamiche, legate a motivazioni differenti, abbiamo avuto modo di vedere in film precedenti come Money Monster di Jodie Foster, The Terror, Live di Kim Byung-woo e nel più recente Il talento del calabrone di Giacomo Cimini.       

L’accerchiamento e l’auto-confinamento determinano le regole d’ingaggio di Prime Time

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Al pari di questi precedenti più o meno riusciti, nei quali l’accerchiamento e l’auto-confinamento determinano le regole d’ingaggio, Prime Time prova a dire la sua, puntando tutto sulle dinamiche conflittuali che si vengono a creare tra l’In e l’Out. Purtroppo solo di rado tali dinamiche sono capaci di portare la tensione alla giusta temperatura di ebollizione. Quando ciò accade è solo grazie alla sintonia tra il lavoro di una macchina da presa nevrotica, il movimento dei corpi dei personaggi nelle topografie ristrette a disposizione e una scrittura più lucida e convinta dei propri mezzi. Peccato che succeda solamente di rado nell’arco di un racconto che nei sui 90’ circa si perde invece in digressioni tematiche e conseguenti dialoghi che si disperdono senza lasciare un segno.

   

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2
Emozione - 2

2.2

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