Paternicillina, storia di un cineasta perduto: recensione del documentario

Un documentario che torna sulle tracce di Adolfo Baruffi, regista ferrarese ingiustamente dimenticato, protagonista di importanti stagioni cinematografiche nel panorama del neorealismo italiano. 

La storia della Settima Arte ne ha fatti di torti, uno di questi è l’essersi dimenticato troppo presto di Adolfo Baruffi, regista ferrarese protagonista di importanti stagioni cinematografiche nel panorama del neorealismo italiano, professionalmente scomparso dai radar alla metà degli anni Cinquanta con una ventina di pellicole all’attivo e una serie di importanti collaborazioni con Florestano Vancini, Dino Buzzati, Pier Paolo Pasolini, Giorgio Bassani e Luis Trenker. Di autori scomparsi nel nulla, ingiustamente accantonati o ancora peggio gettati nell’oblio della dimenticanza, se ne contano nei decenni a centinaia e a tutte le latitudini, immeritatamente messi di parte nonostante l’indubbio talento a causa della cecità degli addetti ai lavori e di coloro che avrebbero potuto e dovuto supportarli. Baruffi fa parte di questa larga schiera di meteore dissolte nell’universo della celluloide, laddove invece avrebbe dovuto brillare tra le stelle del firmamento audiovisivo. La sua assenza dai manuali e dai volumi di storia del cinema, così come quella delle opere che ha diretto nel corso di una carriera consumata troppo rapidamente, ne sono la triste dimostrazione.

Paternicillina, storia di un cineasta perduto: un omaggio sincero e dovuto alla vita e alla carriera del “Salinger di Ferrara”

Ma non è mai tardi per rimediare, anche se nel caso di Baruffi, venuto a mancare in un giorno di novembre del 2013 nel silenzio di un piccolo comune alle porte di Firenze (Gambassi Terme), quei torti hanno contribuito all’abbandono della macchina da presa di un autore che avrebbe potuto dare ancora tantissimo alla causa. A rendere il meritato omaggio a colui che fu ribattezzato il “Salinger di Ferrara” per la sua capacità di raccontare l’Italia del dopoguerra e più in particolare la realtà ferrarese con un’incredibile sensibilità, ci ha pensato l’amico di vecchia data Romeo Pisano, un ex ferroviere da sempre appassionato di cinema, che insieme a un gruppo di giovani cineasti capitanati da Marco Berton Scapinello hanno firmato il documentario Paternicillina, storia di un cineasta perduto. Titolo, questo, che riprende il lungometraggio omonimo girato da Baruffi nel 1957, che decretò la sua uscita dalle scene cinematografiche dopo il mancato passaggio alla censura e il rifiuto all’epoca da parte di molte case di distribuzione a portarlo nelle sale. Un colpo davvero forte, dal quale il regista non è riuscito mai a riprendersi e che si legge dalla delusione nelle parole, nei silenzi e negli sguardi contenuti nei frammenti di video-interviste che Pisano ha registrato negli ultimi anni di vita i Baruffi, poi entrati a fare parte integrante del tessuto narrativo del documentario a lui dedicato.

Alla base di Paternicillina, storia di un cineasta perduto c’è un racconto meta-cinematografico

Paternicillina, storia di un cineasta perduto cinematographe.it

Un documentario che ha scelto l’articolazione strutturale di un impianto cronologicamente non lineare per cucire i fili di un racconto stratificato. Un racconto che non segue le dinamiche classiche del ritratto biografico, pur rievocando gli highlights dell’esistenza intima e professionale del protagonista, ma che preferisce puntare su un approccio meta-cinematografico, sorretto dal sistema a scatole cinesi del film nel film, quello che vede il primo raccontare il processo di creazione dell’altro con il pericolo costante di un fallimento nascosto dietro l’angolo. Il ché fa ripensare a Lost in La Mancha, ma per fortuna Paternicillina, storia di un cineasta perduto non si è trovato a documentare la triste odissea dell’incompiuto. Qui si assiste al completamento di un tributo, vero, sentito e sincero, nei confronti di uomo e di un artista che ha dovuto suo e nostro malgrado mettere da parte i sogni e il talento che pompavano energia al cuore e alla mente.

Paternicillina, storia di un cineasta perduto: un viaggio fisico ed emozionale che intreccia passato e presente

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Ne emerge un mosaico fatto di interviste (conoscenti, storici, critici, affetti ed ex colleghi), materiali di repertorio, sequenze originali dei suoi film e suggestive riprese dei luoghi dove il regista ha vissuto e ha lavorato, quest’ultime risultato di un viaggio fisico ed emozionale che Pisano e la macchina da presa hanno affrontato in giro per l’Italia. Il risultato è un cortocircuito spazio-temporale che intreccia in maniera efficace passato e presente, ciò che è stato con ciò che rimane. L’autore ritorna sulle tracce persistenti e perdute con il medesimo modus operandi di Andrej Jr Andreevich Tarkovskij nel biopic sul padre dal titolo Andrey Tarkovsky. Il cinema come preghiera. E lungo il tour, tappa dopo tappa, si lascia accompagnare dalle musiche avvolgenti di Lillo Morreale e dal prezioso lavoro di sound design di Alessio Festuccia.

Paternicillina, storia di un cineasta perduto cinematographe.it

Tutto questo fa di Paternicillina, storia di un cineasta perduto una lettera d’amore, un carteggio spedito a distanza di tempo a un amico nella speranza che qualcuno potesse un giorno leggerlo. Quel giorno è arrivato e quel qualcuno sono coloro che non hanno saputo riconoscerne il valore, ma soprattutto le nuove generazioni, che potranno così scoprirlo e venirne finalmente a conoscenza. Scoperta e riscoperta sono quindi le due parole chiave di un’opera che tra i suoi meriti ha proprio quello di avere riacceso la luce su un’autore immeritatamente inghiottito dal buio del rimosso storico e artistico.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 2.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3

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