Roma FF16 – Passing: recensione del film di Rebecca Hall

Alla Festa del Cinema di Roma 2021 è stato presentato Passing, il nuovo film di Rebecca Hall che mostra le difficoltà razziali nell'America degli anni '20.

Quando l’estetica di un film si coniuga con la metafora intrinseca della narrazione si possono creare dei connubi perfetti di convergenza filmica. È il caso di Passing, film di Rebecca Hall in concorso alla 16ª Festa del Cinema di Roma, prodotto da Significant Production e distribuito da Netflix.

Il film è tratto dall’omonimo romanzo del 1929 di Nella Larsen e si concentra sulla tematica del razzismo imperante nella New York di fine anni ‘20. Proprio sulla riproposizione e la trasposizione del sentore visivo dell’America degli anni precedenti la Crisi del ’29 si basa l’intera costruzione linguistica e grammaticale del film, con la voglia di presentare allo spettatore un contesto simbolico che si adegua alla visionarie dei costrutti audiovisivi e cinematografici di quegli anni.

Irene conduce una vita agiata ma non eccessivamente sfarzosa: un marito medico, due vivaci bambini e una dignitosa casa ad Harlem. È una donna di colore, ma ogni tanto riesce a occultare il colore della propria pelle alla luce del sole, in un ambiente ancora fortemente razzista. Clare, invece, ha deciso di sfuggire ad una vita indegna ricorrendo allo sbancamento della pelle: questo le ha permesso di sposare un facoltoso uomo d’affari, ma che odia i neri e che non sospetta minimamente che sua moglie fosse a sua volta di colore. Ma ciò non le permette di essere felice, desiderando invece la vita che ha rinnegato. Quando le due si incontrano nuovamente dopo 12 anni, le loro vite si contaminano e si influenzano a vicenda, portando entrambe verso la perdizione e i dubbi sulla propria esistenza.

Passing: l’illuminazione simbolica come espediente narrativo

Passing - Cinematographe.it

Passing punta quasi tutta la propria valenza simbolica e narrativa sull’illuminazione: la scelta di utilizzare una colorazione bicromica di bianco e nero ha moltissimi riscontri sul piano estetico e su quello metaforico. Inizialmente questo espediente viene sfruttato per non enfatizzare la pelle nera, ma al contrario uniformare il colorito per cercare di confondersi tra i bianchi. Il bianco uniforme imperante nelle prime inquadrature porta ad una confusione visuale dei contorni degli oggetti, presentandosi inizialmente come una macchia indistinta di forme, a rappresentare simbolicamente ciò che la narrazione vuole trasmettere: la supremazia bianca sui neri. Ma l’illuminazione può anche rivelare la verità: le riprese in controluce, ad esempio, esaltano il colore della pelle scura e gli ambienti di Harlem, contrapponendoli a quelli ariosi e luminosi della New York “per bene”.

Passing Cinematographe.it

Il montaggio all’inizio del film si rifà moltissimo agli stilemi linguistici e grammaticali del cinema classico hollywoodiano degli anni ’20 e ’30, con movimenti di macchina, raccordi e fotografia meditata e convenzionale, senza eccessi stilistici e propri del cinema delle attrazioni o di quello contemporaneo. Successivamente, mano a mano che il film prosegue, il montaggio si fa sempre più convenzionale, scardinandosi dall’impostazione degli anni ’30 per seguire il montaggio e la costruzione delle inquadrature attuali. Questo si rifà sicuramente alla narrazione che avanza e che si adegua ai canoni estetici. Irene inizia a provare sentimenti contrastanti per Clare, cerca di essere gentile con lei ma la rabbia inizia a prendere il sopravvento sulla sua impostazione caratteriale così pacata ed elegante. Ecco che anche il montaggio segue i suoi turbamenti interiori, ma non solo quello. Il sonoro, infatti, si adegua a questo passaggio emotivo. L’assenza di suono extradiegetici per tutto il film viene interrotta solamente dal suono di un pianoforte che sembra attivarsi nel momento in cui Irene prova sentimenti di rabbia per Clare.

Una metropoli moderna, un’ideologia antiquata

Passing Cinematographe.it

La storia si confonde con riflessioni di ordine filosofico e ideologico che potremmo ricollocare anche nel panorama attuale. L’emancipazione della donna, la new woman americana che ha ispirato molti film degli anni ’20 e ’30 è qui una donna fragile, vittima delle sue pulsioni e delle sue emozioni contrastanti: amica ma anche carnefice. Al contempo Clare è la femme fatal disillusa dalla vita, che cerca un porto sicuro per fuggire dal dolore. Ed ecco che una serie di simboli si riversano sul piano estetico e concettuale: un vaso che cade e si rompe, un raggio di sole che ciclicamente si affaccia debolmente da un albero.

La narrazione di Rebecca Hall si presenta, dunque, come si può evincere, molto criptica, perché indirizzata verso un simbolismo didascalico fitto e a tratti incomprensibile, ma che se associato ai fatti narrati può portare lo spettatore a capire benissimo quale sarà l’inevitabile finale. L’ermetica messa in scena è data sicuramente dall’interpretazione delle due protagoniste, Tessa Thompson e Ruth Negga, che poco fanno trasparire della caratterizzazione di Irene e Clare. Una recitazione contenuta, che pochissimo fa intendere dei moti dell’anima delle protagoniste, e che proprio per la capacità di saper trattenere quello che realmente si percepisce, possono essere considerate degne di nota, ma sicuramente non esaltanti.

Passing è un film che ha molto da dire, che lascia trasparire la certezza della regista di voler raccontare una storia attuale ambientata in tempi passati, ma che necessita dell’attenzione costante dello spettatore nel cogliere ogni minimo cenno simbolico.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 4

4