Morgan matto da legare: recensione del film di Karel Reisz

“Che mi ha dato l’amore? Cosa ho avuto dalla gentilezza?”
Leonie (Vanessa Redgrave) e Morgan Delt (David Warner) sono i protagonisti di un ritratto irriverente e drammatico che Karel Reisz porta ai limiti del comico e del lirico. Lui pittore barbaro e stravagante, lei donna altoborghese stanca del suo essere bislacco e dissacrante, uniti nel sacro vincolo del matrimonio ancora per poco, poiché lei si appresterà a volerlo disgiungere in tutti i modi.
Morgan: A Suitable Case for Treatment (1966) fu presentato al Festival di Cannes, dove Vanessa Redgrave vinse il premio per la migliore interpretazione femminile, pellicola tra l’altro tratta da un originale televisivo di David Mercer,che è sceneggiatore del film.

Morgan è un umile essere refrattario dal pugno fieramente chiuso, che fa di tutto per impedire che la moglie si risposi, covando un’angoscia smisurata verso il suo abbandono. Architetta svariati sabotaggi per ingraziarsi il suo ritorno e mandare all’aria il suo imminente matrimonio: le infila uno scheletro nel letto, disegna falce e martello ovunque nel suo appartamento, costruisce un sistema disturbante ed esplosivo che si attiva solo negli attimi in cui Leonie si appresta ad andare a letto con il suo amante, gesti dinamitardi che culminano con il rapimento di lei.
Insomma si comprende bene che vivere con il suddetto individuo non è facile a prescindere dai suoi intenti.
L’apice viene raggiunto quando, in mezzo ai boschi, lui le chiede di vivere in un ambiente naturale più confacente alla sua anima primitiva. Nonostante l’attimo di romanticismo, Morgan, non compreso, viene respinto e chiuso in manicomio, ma la sua follia non si estingue, come il suo amore per lei.

Morgan matto da legare

Morgan matto da legare: “Non c’è niente in questo mondo che risponde ai miei desideri.”

Morgan ci invita nella sua atmosfera, in cui non ci sono istanze etiche, ma un ritorno alla bestialità che tanto sedusse Rousseau, che guarda con ironia e lontananza chi accumula abitudini e coltiva le schiavitù nei gesti di tutti i giorni.

Morgan è figlio di un fervente ferroviere marxista che non potrebbe in alcun senso tollerare di aver messo al mondo un essere che abbia un pensiero diverso dal suo, lungi dall’essere conservatore.
Le domande che cominciano a viaggiare nella testa dello spettatore, quantomeno irriverente e strambo come il nostro Morgan, sono svariate.

Perché al matrimonio di Leonie si concia come un gorilla? Perché va con la madre, senza apparente motivo a lasciare dei fiori sulla tomba di Marx? Perché è considerato così maledettamente matto da legare?
Questa è la condanna di chi non ha una testa confinata e circoscritta, di chi non considera applicabile alla sua vita sedersi a tavola, annoiarsi, blaterare infausti apprezzamenti di circostanza. Quando invade la festa di nozze ingioiellato e ingorillato è come se un istinto primordiale avesse avuto la meglio su un culto sacro, su tutto ciò che rappresentasse una convenzione, un diktat sociale.

Morgan è un essere disperato, cosciente, che ha sempre vagato per le strade avulse e tortuose che rendono attraente la sua fede politica, rendendosi poi conto della sua vacuità, anche perché il regista non cede ai vagheggiamenti leninisti considerando il maoismo nascente durante la creazione del film.

La pellicola peraltro sorge in un periodo storico che coniuga diverse presenze tra quali il Free Cinema, lo Swinging London e il bollore sessantottino che era alle porte, diversi modi di considerare la società ma che propugnavano ugualmente l’amore per la libertà sconfinando in una blanda e disonesta anarchia volitiva.
Lui perde la sua fede ma non perde il contatto con Dio (Marx), le sue icone, i suoi simboli viaggiano imperterriti nella sua mente, mascherano le sue debolezze, pur non credendo più nella rivoluzione porta avanti la sua personale battaglia amorosa: avere Leonie è l’unica cosa per cui valga la pena combattere.

Morgan matto da legare

Disprezzando qualsiasi normalità, qualsiasi precetto morale si ritira nella fantasia, immagina animali al posto degli uomini, i quali sono inquadrati mentre compiono i gesti più semplici come camminare o sbadigliare, un’esatta coniugazione dell’essere primitivo che ritrova la sua sacrosanta bestialità.
E’ solo quando vede naufragare ogni speranza di poter riottenere Leonie e di non poter soddisfare alcuna aspettativa leninista che, sconfitto, immagina di essere giustiziato da dei guerriglieri russi e considera l’idea del manicomio.Non per costrizione, non per l’incomprensione che gli serbava il mondo, ma per propria mano, come unico desiderio finale.

Il regista delinea un malinconico epitaffio della condizione politica che imperversava tra i giovani inglesi, con riferimenti all’indottrinamento familiare di taglio marxista e al rifiuto di un possesso seppur vacillante di una coscienza propria che fosse lontana dal culto di una fanatica borghesia.

La pellicola non perde di verve e ironia anzi le gag sono svariate e a volte susseguite dalle frustrazioni di Leonie e dal genio di Morgan che, speranzoso e illuso, vive le sue battaglie con ambivalenza: è allo stesso modo Tarzan, un animale umanizzato spudoratamente clownesco, ed è Cyrano, che cerca di salvare la sua bella da una vita triste e grigia che Charles, il suo amante, le avrebbe destinato nell’attimo del si, lo voglio.

 

Giudizio Cinematographe

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.1
Fotografia - 3.1
Recitazione - 3.6
Sonoro - 3.1
Emozione - 3.8

3.4

Voto Finale