Miracle – Storia di destini incrociati: recensione
Il film di Bogdan George Apetri è un raro esempio di thriller, nella cinematografia rumena contemporanea.
Bogdan George Apetri, al suo terzo lungometraggio, con questo Miracle – Storia di destini incrociati, presentato nella sezione Orizzonti della Mostra di Venezia 2021, offre al pubblico un thriller ambientato nella Romania contemporanea, al cinema dal 27 ottobre 2022 cn Trent Film.
La suora Cristina (Ioana Bugarin) lascia il proprio convento di soppiatto, con la complicità di un’altra suora, Mina (Nora Covali), per risolvere un problema di salute. Si reca, con un taxi guidato dal fratello di suor Mina (Valeriu Andriuţă), in un ospedale, poi in un palazzo di periferia alla ricerca di un inesistente dottore e infine alla polizia. Non riesce a risolvere il suo problema e invece di tornare in convento con il fratello di suor Mina, sceglie di prendere un altro taxi, andando incontro ad un destino crudele. Il secondo blocco del film racconta l’indagine del detective Marius Preda (Emanuel Pârvu), che, ossessionato dall’idea di fare giustizia, non si fa scrupoli a disseminare prove false, per incastrare colui il quale sa essere l’artefice del male che ha colpito la giovane suora. Il finale sembra prendere una piega giustizialista degna de Il giustiziere della notte (Winner, 1974) ma quello che appare come un miracolo (o forse si tratta solo di un sogno ad occhi aperti di Marius), catalizzato da Cristina, riporta le cose su un sentiero più politically correct.
Miracle – Storia di destini incrociati – il thriller di Bogdan George Apetri
Il primo film della Apetri, Periferic, nacque da un soggetto di Cristian Mungiu, dunque, non è forse un caso che la messa in scena in Miracle appaia debitrice delle soluzioni formali del regista di 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni (2007). La regista cerca infatti di trattare la protagonista della prima parte, e il suo dramma intimo, con una certa elegante discrezione, fatta di campi lunghi e panoramiche che si fermano sulla soglia dell’orrore, senza mai mostrarlo in pieno – quella a 360 gradi nel bosco è una piccola lezione di regia. L’utilizzo dei piani sequenza che seguono le vicende di Cristina e di Marius, invece, vengono direttamente dalla scuola dei Dardenne e sono un mezzo per ancorarci, da un lato, a una concezione realistica del racconto filmico, in grado di descrivere solo le porzioni di realtà esperite dai propri protagonisti e nulla più. Dall’altro invece sottolineano i due rispettivi punti di vista dei protagonisti dell’opera, che sono anche le due visioni di mondo che Apetri sembra interessata a mettere a confronto. Il materialismo laico e disperato del detective in opposizione alla fede spirituale, colpita da un male atroce, eppure incrollabile.
Attorno a questa dialettica ruotano anche i dialoghi del film e sebbene Apetri sembri assecondare maggiormente, attraverso le scelte formali, le posizioni materialiste, alcuni artifici lontani da questo crudo realismo estetico, dichiarano il reale pensiero dell’autrice. Il film inizia infatti con l’immagine capovolta della suora protagonista, riflessa in una bacinella d’acqua e sul finale il riflesso della stessa suora appare, nel momento del miracolo, in un ruscello. La struttura narrativa è dunque ciclica, cioè la regista inserisce il film in un tempo del mito, un tempo fatto di ritorni e simmetrie, orientato da una concezione spirituale/magica della vita. Allora la crudele vicenda si trasforma in una piccola parabola morale paracristiana sulla necessità del perdono e sulla bontà, quasi da santa, di una donna, che per tutto il film è stata trattata dagli uomini come un corpo da possedere o addomesticare, tramite insegnamenti e atteggiamenti paternalistici.
C’è tanta attualità in Miracle
In una simile prospettiva i riferimenti all’attuale confusione politica rumena e alla necessità della venuta di un “salvatore della patria”, puntellati dalla musica tradizionale della nazione, risultano quantomeno fuorvianti. Alla fine è la fede, il divino, che si manifesta attraverso un’immagine riflessa a ristabilire un senso morale all’ordine sociale. In altre parole è il cinema, dunque l’arte, dunque la cultura, dunque l’educazione a poter ricostruire il tessuto sociale attraverso un rispetto formale per la legge, che anche se non si identifica con la giustizia, è la base necessaria per mantenere l’attuale democrazia, ovvero uno status quo dove le donne sono ancora corpi nelle mani degli uomini e dove gli istinti più biechi non vengono superati, ma semplicemente ricondotti entro l’ordine costituito, a sua volta violento e disperatamente bisognoso di un miracolo.