Venezia 75 – M: recensione del film di Anna Eriksson

Sessualità, erotismo, morte, devastazione, disperazione si alternano in un vortice confuso in M.

La cantante finlandese Anna Eriksson debutta al cinema col suo primo lungometraggio, dal titolo M, presentato nella sezione autonoma e parallela della 75esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, nota come la Settimana internazionale della critica.

Dopo essersi presa una pausa dal mondo della musica nel 2013, la Eriksson ha iniziato a interessarsi alla Settima Arte, decidendo di ideare un film tutto suo, che esplora il rapporto e la linea sottile che unisce morte e sessualità. Nella pellicola, oltre a figurare in qualità di regista, la donna è anche interprete, sceneggiatrice, costumista, scenografa, produttrice e si occupa del montaggio, del suono e delle musiche.

si concentra sulla lotta eterna tra Eros e Thanatos

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Il tema trattato dalla realizzatrice nel suo film, interessa la specie umana dalla notte dei tempi. D’altronde fu proprio il filosofo greco Empedocle a giustapporre Eros (Amore) e Thanatos (Odio, Distruzione e Morte), due aspetti che portano avanti il mondo, poi ripresi successivamente anche da Sigmund Freud, secondo cui l’Eros è il diretto erede della libido. Secondo Freud ogni nostro comportamento è dettato da una pulsione fisica, libidica e in particolari tipologie di persone, come i sadici o i masochisti, questa pulsione – che corrisponde alla vita – si accompagna a una tendenza distruttiva, di morte.

L’obiettivo di ogni uomo è raggiungere la propria felicità, spesso impedita dalle barriere imposte dall’ambiente circostante, naturale o sociale che sia. La Eriksson nella sua opera tenta di esplorare in modo approfondito e sperimentale questo aspetto. Il problema è che non riesce ad approdare fino in fondo al suo intento primario.

Se qualcuno decidesse di vedere il lungometraggio senza informarsi prima, la sensazione provata sarebbe un totale disorientamento. Una serie di inquadrature e sequenze, volte solo a suscitare un particolare impatto – spesso shockante – si susseguono come un flusso continuo, faticando a interrompersi e trovare una loro ragion d’essere. La sceneggiatura è pressoché inesistente e diventa difficile trovare un filo logico alla grande quantità di immagini che “sfilano” sul grande schermo.

M è una sfilata di immagini decontestualizzate e shockanti

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Sessualità, erotismo, morte, devastazione, disperazione si alternano in un vortice confuso, in cui a volte subentrano degli scambi di battute decontestualizzate tra personaggi indefiniti e non presentati precedentemente – caratteristica che offre ancora più un senso di instabilità e caos. È come se la serie di immagini fosse presentata non a scopo narrativo, ma solo con l’intento di colpire, quasi come volesse fondare una sorta di nuova avanguardia.

I pochi personaggi che appaiono nelle suddette sequenze non si vedono mai chiaramente, in quanto costantemente attorniati da un’atmosfera oscura e spesso ripresi in controluce, tale da non permettere una loro limpida osservazione ed analisi. Diventa anche difficile parlare di recitazione vera e propria, in quanto non viene messa in gioco una vera performance degli attori – frequentemente si sentono le loro voci sovrapposte ad altre immagini, senza scoprire la loro reale identità.

Se la Eriksson voleva offrire un’interpretazione delle tendenze allucinogene presenti nel proprio Io più inconscio, allora probabilmente non si è distanziata così tanto dalla sua meta. M appare come un viaggio negli Inferi, nelle paure più illogiche e spaventose presenti nel profondo di ognuno di noi, ma occorreva davvero essere così brutali?

Regia - 1.5
Sceneggiatura - 1
Fotografia - 1.5
Recitazione - 1
Sonoro - 1
Emozione - 1

1.2