Venezia 73 – L’uomo che non cambiò la storia: recensione

L’uomo che non cambiò la storia è un documentario di Enrico Caria presentato fuori concorso a Venezia 73 in collaborazione con le Giornate degli Autori.

La cinepresa accompagna un celeberrimo storico dell’arte, Ranuccio Bianchi Bandinelli, nel periodo in cui fece da cicero ad Hitler e Mussolini durante la visita del führer in Italia. Generalmente la figura della guida è una tipologia di individuo che accompagna i visitatori in modo arbitrario e deferente, fortuna che Bandinelli non ebbe. Quando gli venne annunciato dal ministero che avrebbe dovuto rendersi disponibile per questo lavoro gravoso di cui lui era grandemente dubbioso, provò a divincolarsene senza un buon esito: quella richiesta non ammetteva risposte negative, era un servizio che doveva rendere al duce, al partito e all’Italia.

l'uomo che non cambió la storia

La sua vita, fino ad allora lontana dai riflettori politici men che meno fascisti, lo costrinse a doversi invischiare in una condizione paradossale: accompagnare Mussolini e Hitler era un’evidente scelta politica già precedentemente imposta, considerato che tutti dovevano essere iscritti al partito fascista; contrariamente, si sarebbe inimicato chiunque avrebbe potuto inimicarsi, avrebbe compromesso la sua vita e la sua carriera in un solo colpo. Quale scelta avrebbe dovuto intraprendere? Una controproducente per le sue dottrine politiche o una che gli avrebbe sconvolto vita e lavoro?

Ovviamente, per quanto la sua decisione non si possa totalmente biasimare, un uomo dinanzi al pericolo sceglierà sempre l’incoerenza.

Il bivio era intrapreso, con malumore e insofferenza. I due dittatori in quel 1938 si sarebbero ritrovati a Roma e a Firenze seguendolo in un tour di riscoperta e scoperta (almeno per Mussolini) delle antiche bellezze italiche di cui Hitler era grandemente invaghito e di cui già conosceva l’epica fama.

Ma l’uomo che non cambiò la storia avrebbe potuto sconvolgere la nostra era in modo considerevole. In lui cominciò ad agitarsi il desiderio di compiere un attentato, colpendo i due dittatori, due oppressori durante quelle visite. Dopotutto fascista non era, nemmeno lontanamente simpatizzante, anzi parliamo di uno studioso dalle tendenze marxiste che poi si sarebbe iscritto al PCI senza battere ciglio.

Eppure mentre si dileguava tra musei e siti archeologici con quei due tipi pensò: e se il mondo si liberasse di loro? Cosa ne faranno di me? Sarei un eroe? Un traditore? Un dispensatore di libertà? Un antifascista? Le domande si affollavano, erano tanti i quesiti e le paure, eppure i loro incontri da quel maggio ’38 si duplicarono, non smisero, continuarono (fece lo stesso con Hermann Göring).

l'uomo che non cambió la storia

Ma il mondo avrebbe davvero accolto l’omicidio di Mussolini ma soprattutto di Hitler con un’ovazione? Dopotutto in quello stesso anno l’America, si proprio l’America di Roosevelt, lo incoronava Man of the Year sul Time e fu anche candidato niente di meno che al Nobel per la Pace.

Comicità o follia? Bentornati nel XX secolo.

Purtroppo per noi e per milioni di persone quell’uomo fu trafitto dai dubbi, continuò a scrivere sul suo diario e immaginava un’Italia migliore, florida e libera dalle catene.

Nei suoi scritti vengono fuori però cose molto interessanti: prima di tutto Hitler amava alla follia le nostre creazioni, considerate che fu respinto all’accademia della arti di Vienna, quindi apprezzava e conosceva bene l’arte, quella romanica su tutte. Durante le sue visite non perdeva occasione di arricciare il naso davanti a capolavori denominati da lui bolscevichi (ricordiamo che Hitler tra le sue vette creò un programma che depurava l’arte dalle opere moderne, degenerate, una pulizia etnica che non limitò solo all’arte).

Amava talmente tanto i nostri capolavori che nei suoi ricami mentali desiderava creare un monumentale museo a Vienna, il Fuhrermuseum, con le migliori opere che l’uomo avesse mai creato e che determinassero la grandezza, il vigore e la supremazia dell’uomo su tutto.

Fortunatamente non visse così a lungo da poter creare quell’orrore architettonico e rubarci opere preziose.

In tutto questo marasma di sinapsi politiche, convenevoli e bracci alzati un po’ troppo si inserisce un professore, uno studioso, un uomo che ha contribuito ad avvalorare e ammodernare la nostra arte antica

l'uomo che non cambió la storia

Sempre dal diario del Bandinelli ne viene fuori il ritratto di un Mussolini molto diverso da ciò che si potesse credere. A differenza di Hitler non si interessava dell’arte, anzi appariva annoiato, intento solo a destreggiarsi con il mito della sua persona, voleva che le donne lo amassero, al limite cercava solo di ingraziarsi alla meglio una personalità come Hitler, i cui rapporti proprio distesi e felici non erano.

In tutto questo marasma di sinapsi politiche, simpatie, antipatie, convenevoli e bracci alzati un po’ troppo si inserisce un professore, uno studioso, un uomo che ha contribuito ad avvalorare e ammodernare la nostra arte antica, l’archeologia e che aveva grandi ambizioni lavorative e belliche ma che riuscì a perseguire solo una strada.

L’uomo che non cambiò la storia è un documentario tratto dal diario di Bandinelli “Il Viaggio del führer in Italia”, con la voce di Stefano De Sando che ci trasporta nelle turbolenze mentali di Bandinelli grazie all’Istituto Luce che ha contribuito con il suo sconfinato materiale di archivio a portarci visivamente in quegli anni. Il tutto impreziosito dai toni da fumetto noir, musiche tenebrose e quel gusto sarcastico che danno un senso reale alla narrazione, tanto che da documentario si trasla in un mondo prima utopico poi distopico, portandoci all’interno delle nostre vicende, la nostra storia che non smette mai di sorprenderci.

Regia - 3.5
Fotografia - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

3.1