Venezia 75 – Les tombeaux sans noms: recensione del film di Rithy Panh

In Les tombeaux sans noms Rithy Panh ripercorre le sue origini, con la volontà di onorare i morti del genocidio cambogiano.

Cos’è la morte e cosa significa vedere inerme tutti coloro che ti sono accanto perire? Un decadimento del corpo e dello spirito che non riguarda soltanto singoli individui, ma un’intera nazione, tormentata dalla furia selvaggia dei Khmer rossi, artefici di un vero e proprio cimitero a cielo aperto.

Rithy Panh, dopo essersi aggiudicato il Premio Un Certain Regard al Festival di Cannes 2013 con il film The Missing Picture (L’image manquante) e aver ottenuto con lo stesso film una Nomination agli Oscar 2014 nella categoria Miglior film straniero, debutta alla 75esima edizione della mostra del cinema di Venezia, ripercorrendo la sua infanzia, caratterizzata da volti che a stento ricorda e che sono andati via per sempre. Il regista, nato in Cambogia, andò prima in Thailandia e poi in Francia per sfuggire al genocidio cambogiano che mise in ginocchio il paese negli anni ’70. Prima di fuggire fu, però, deportato insieme ai suoi cari nei campi dei seguaci del Partito Comunista, dove fu testimone di alcuni dei peggiori orrori commessi dall’umanità.

Panh riuscì a scappare, lasciando però indietro tutti i suoi amici e i suoi famigliari, che non ebbero la sua stessa fortuna. Con Les tombeaux sans noms (Graves Without a Name) è come se il regista volesse redimersi, è come se cercasse un perdono proveniente da tutti coloro che rimasero intrappolati nella violenza dei Khmer, attraverso un autentico ritorno alle origini.

Les tombeaux sans noms: Rithy Panh compie un ritorno alle origini

Les tombeaux sans noms Cinematographe

Il voice over di Randal Douc, con il suo timbro pacato e profondo, ci introduce in questo mondo quasi dimenticato, arcaico, in cui torniamo indietro nel tempo, in anni in cui il regime preferiva dimenticare i propri errori, togliendo la dignità al proprio popolo anche dopo la morte. Tramite i volti segnati dal sole e dalla povertà di alcune persone del luogo, che hanno vissuto il turbolento periodo in Cambogia, apprendiamo maggiormente ciò che accadde a coloro che rimasero bloccati nei campi dei khmer: corpi senza identità, gettati nelle fosse comuni oppure per le strade dei piccoli villaggi.

Les tombeaux sans noms (Graves Without a Name) è un film documentario scisso fondamentalmente in due parti, che si alternano a vicenda: una parte legata più a un tradizionalismo mistico culturale, che prevede l’uso di particolari riti attuati da stregoni, capaci di mettere in comunicazione chi è ancora in vita coi propri cari defunti, cercando di scovare anche i luoghi in cui si trovano realmente i loro corpi e una parte più realistica e concreta, attraverso le testimonianze dei pochissimi superstiti del genocidio.

Les tombeaux sans noms: la macchina da presa scruta e indaga il volto sofferente dei testimoni del genocidio

Les tombeaux sans noms Cinematographe

Con una fotografia senza filtri e particolarmente nitida, un po’ inusuale per un film documentario, i testimoni appaiono all’ombra di enormi alberi secolari, che provocano sul terreno completamente inondato dal sole delle misteriose ombre – forse simbolo della furia dei khmer abbattutasi su una nazione che prima del loro insediamento viveva in pace.

La macchina da presa indaga e scruta da ogni punto di vista possibile i testimoni, seguendo costantemente – forse a volte un po’ troppo insistentemente – i loro movimenti fisici ed espressivi. Il film di Rithy Pan non è un semplice film, bensì un documentario corale realizzato in modo poetico e che, attraverso i vari interventi, avvicina sempre di più gli spettatori alla condizione vissuta da un’intera nazione.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 3

2.8