La casa de las flores: recensione del film Netflix

Segreti e scandali, nel film demenziale e grottesco del messicano Manolo Caro.

Intrighi amorosi, verità nascoste, improvvise rivelazioni e un continuo oscillare tra sensi di colpa, brama di vendetta, e voglia di perdonare i propri cari che in passato hanno commesso gravi errori: sono questi gli ingredienti del film La casa de las flores, La “casa dei fiori” creato e diretto da Manolo Caro, disponibile su Netflix, gli stessi che hanno reso popolare l’omonima serie messicana firmata dal regista ispanico. Tutto, difatti, ruota intorno a una famiglia di floristi, i de la Mora. Proprietari di un prestigioso negozio di fiori e dallo stile di vita apparentemente idilliaco, alcuni membri della famiglia nascondono in realtà segreti inconfessabili.

Come Ernesto De la Mora, patriarca di questa famiglia disfunzionale: un giorno si rende conto che la sua amante è improvvisamente morta e decide di portare i suoi figli nella casa “ufficiale”, insieme a moglie e prole, ignari dell’esistenza di questa scomoda verità. Tutto viene raccontato con leggerezza, ironia e sensibilità e con naturalezza viene digerito o accettato dalla famiglia (e dal pubblico) tanto che le situazioni diventano sempre più estreme e paradossali. La serie è chiamata anche la “soap opera dei millennial”, perché affronta con umorismo nero da black comedy i temi dell’omosessualità, del perbenismo e dell’apparenza nei rapporti familiari.

La casa de las flores: un film che scava nel passato del clan messicano

La casa de las flores, Cinematographe.it

Con questo stile grottesco e surreale, il film torna a scavare nel passato del clan messicano. L’indagine prende il via quando Delia (Norma Angélica), la governante in fin di vita, confida a Paulina (Cecilia Suarez) che nella stanza dei genitori c’è un nascondiglio che cela un tesoro di famiglia, nonché la prova della colpevolezza di Augustìn Corcuera (Emilio Cuaik), scagionato dall’omicidio di Pato (Christian Chàvez). Paulina tenta di convincere i fratelli, Elena e Juliàn, a forzare le misure di sicurezza della loro ex casa per recuperare il tesoro nascosto. I fratelli de la Mora infrangono tutte le regole allo scopo di compiere questa missione, per amore della loro tata e per vendicare la famiglia. Il piano scatta proprio mentre un flashback ci catapulta in una festa di matrimonio anni ’80, quanto matriarca e patriarca del clan (gli allora giovani Virginia ed Ernesto de la Mora) cercano di far confessare Augustìn. Virginia de la Mora è interpretata dall’attrice Verònica Castro, regina delle telenovelas di allora (un esempio su tutti, Anche i ricchi piangono).
Commedia irriverente, variopinta e dark (nella sostanza), anche il film contiene, come la serie, molti elementi della soap opera: un certo modo – lento- di parlare dei protagonisti o di soffermarsi e pensare con lo sguardo perso nel vuoto, i numerosi primi piani e un forte intreccio sentimentale tra i vari personaggi. Il regista ha dichiarato di voler modernizzare il genere, senza rinnegarne le assi portanti. Ma più che una rivisitazione del genere, sembra volerne fare una parodia.
Tuttavia il film non riesce a fare centro, e sembra un sequel mal riuscito della serie Netflix, che invece diverte e cattura lo spettatore per la franchezza e la spontaneità dei vari protagonisti, impegnati a trovare la propria strada verso la felicità. Pur restando nelle colorate atmosfere soap-almodovariane, che formano anche le sottotrame scandalistiche, il regista è intento ancora una volta a celebrare in senso assoluto l’amore e la famiglia, anche se il film presenta una sceneggiatura più demenziale e naif; l’opera non è stata doppiata in italiano, e i sottotitoli sono spesso frutto di una traduzione poco accurata e superficiale.
Ma, come recita il finale, “alla fine andrà tutto bene, e se non andrà tutto bene è perché non è ancora la fine”.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.7

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