TSFF 2021 – In the Dusk (Sutemose): recensione del film lituano

Nel 1944 l'Unione Sovietica occupa barbaramente la Lituania per la seconda volta. Il giovane contadino Unte si unisce alla Resistenza accampata nella foresta, lottando strenuamente e cercando di dare un senso alle proprie azioni.

Maestro e massimo esponente del cinema baltico, il lituano Sharunas Bartas ha negli anni consolidato la sua poetica attraverso opere rigorose e severe, come Lontano da Dio e dagli uomini (1996, incentrato su una comunità di nomadi siberiani) e Namai (1997, storia di un uomo che si aggira in una dimora fatiscente immersa nel bosco). Una proposta spesso ostica, visionaria e di non immediata comprensione, fortemente radicata nella Storia del suo Paese e dei traumi irrisolti e irrisolvibili subiti in decenni di guerre e privazioni.
In the Dusk – presentato a San Sebastian e Cannes, e ora approdato al Trieste Film Festival – non è stato ben accolto in patria, nonostante segua alla perfezione gli stilemi e le convinzioni dell’autore. Nel cinema di Bartas non esistono abbellimenti o nostalgie falsificatrici, la realtà non è mai una questione manichea fatta di bianco e nero ma scolora in chiaroscuri in cui nessuno può dirsi veramente innocente e in cui sovente le vittime sono animate da motivazioni pericolosamente simili a quelle dei carnefici.

In the Dusk: l’uomo non impara mai dalla Storia

In the Dusk - Cinematographe.it“Nel 1944 la Lituania è occupata, le truppe dell’esercito sovietico imperversano nel Paese. I cittadini soffrono per la repressione economica, politica e sociale. La Resistenza partigiana tenta di opporsi agli invasori”. L’incipit di In the Dusk ci spiega, essenzialmente, come quella a cui stiamo per assistere sia una lezione di storia dimenticata. Dimenticata anche, ed è qui la denuncia primaria di Bartas, da chi quell’esperienza l’ha vissuta sulla propria pelle. E la strada scelta, perlomeno nella prima metà, è quella del dramma da camera dal sapore cechoviano.

Seguiamo infatti la quotidianità dell’anziano proprietario terriero Pilauga, di sua moglie e del loro figlio adottivo Unte, all’interno di una fattoria confinante con una fitta boscaglia. Fuori c’è un mondo in decomposizione, martoriato dal conflitto: i partigiani, resistenza armata antisovietica, si oppongono alla collettivizzazione forzata delle terre propugnata dalle truppe sovietiche. Noi siamo Unte, che si muove liberamente tra la sua casa e il campo dei ribelli, e assieme a lui maturiamo una progressiva presa di coscienza della tragedia in atto.

In the Dusk: il nemico siamo noi

In the Dusk - Cinematographe.itTuttavia Unte, che vuole essere un coraggioso nazionalista e sa contro cosa sta combattendo, non è un eroe senza macchia e senza paura. Anzi, tra i malconci guerrieri che abitano l’accampamento a brandelli nella foresta non capisce perché la gente lotti fino all’ultimo e arriva a una piena comprensione troppo tardi. È immerso – come noi – in un universo di circostanze, tra le ambigue affermazioni di chi gli sta attorno (“Servo una volta, servo per sempre”, “Quello che non sai non può ferirti”) e il bisogno di riuscire a dare un senso e un valore alle proprie azioni.

In questa ambivalenza fatta di omicidi, adulteri, sospetti e veleni si consuma il grande affresco bartasiano. Non è fatalismo, e nemmeno pessimismo: nelle intenzioni dell’autore si tratta di doloroso iperrealismo, difficile da guardare proprio perché spietato con la natura stessa dell’individuo. Il nemico siamo noi, la guerra si consuma all’interno della nostra stessa coscienza: è solo evitando le facili scorciatoie della retorica che è possibile illuminare la Storia lituana e contestualizzare la geopolitica di oggi, a 70 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

3.3