Venezia 75 – Il banchiere anarchico: recensione del film di Giulio Base

Con Il banchiere anarchico Giulio Base ci regala un film coraggioso e ambizioso.

Il banchiere anarchico è un film del 2018 scritto, diretto e interpretato da Giulio Base, ispirato all’omonimo romanzo di Fernando Pessoa e presentato nella sezione Sconfini della 75ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. L’unico attore a condividere la scena con Giulio Base è Paolo Fosso, con il quale il regista dà vita a un lungo e coraggioso dialogo sul potere e sulle modalità con cui è possibile sfidarlo. Il banchiere anarchico

Un ricco e influente banchiere (Giulio Base) condivide con un amico (Paolo Fosso) il festeggiamento del suo compleanno, in una stanza dall’arredamento minimale del suo palazzo. Pungolato dall’amico sul proprio percorso verso la sua sconfinata ricchezza, il banchiere rivela inaspettatamente al commensale di considerarsi un vero anarchico, posizione apparentemente in netto contrasto con il suo lavoro e la sua posizione sociale. Ha così inizio la lunga esposizione da parte del banchiere della sua visione della società, fra ricordi del suo passato, disillusione e radicali prese di posizione.

Il banchiere anarchico: Giulio Base ci regala un film italiano coraggioso e ambizioso

Il banchiere anarchico

Come si può anche solo pensare di proporre a un pubblico sempre più appiattito verso opere di puro e non eccelso disimpegno come quello di oggi un film girato in una singola location e con due soli attori, consistente in un lungo dialogo su profondi ragionamenti di classe e per giunta italiano, peccato originale che molte nostre produzioni devono scontare per la nostra atavica sfiducia nel sistema e nell’erba del nostro giardino? Basterebbe solo il coraggio di Giulio Base nel cimentarsi in quest’impresa cinematografica per fare de Il banchiere anarchico un’opera meritevole della nostra massima attenzione, ma oltre a questo c’è molto di più: c’è la voglia di giocare con un pubblico in maniera cerebrale ma non elitaria, c’è ambizione ma mai presunzione, ci sono un livello recitativo elevato e una regia che sfrutta in modo raffinato i giochi di luce e i pochissimi elementi di scena.

Davanti a Il banchiere anarchico ci si trova piacevolmente spiazzati, privi di punti di riferimento. Non sappiamo dove si trovano i personaggi, quale sia la loro relazione e quanto sia realmente potente il banchiere. È in dubbio persino l’epoca d’ambientazione, che potrebbe essere quella odierna o anche una futura. Davanti a noi solo una manciata di elementi di arredo (un tavolo, una scacchiera e un divano), proprio per non deviare la nostra attenzione verso altro che non sia il tortuoso ma mai monotono ragionamento del protagonista. Questo perché Giulio Base, appoggiandosi al testo di Pessoa, mette in scena un racconto universale e dal chiaro impianto teatrale, che sfrutta il fluire delle parole e dei ragionamenti del protagonista per una riflessione quanto mai attuale sul potere del denaro e sul fallimento di un certo tipo di lotta di classe.

Il banchiere anarchico: il modo migliore per combattere il potere è farne parte

Con un invidiabile rigore nella messa in scena e due eccellenti performance recitative da parte dei protagonisti, coinvolti in lunghi e intensi piani sequenza, Il banchiere anarchico ci racconta lo splendore e al tempo stesso la miseria della borghesia. Il protagonista è infatti un uomo che ha accettato l’impossibilità di contrastare il sistema dall’esterno ed è arrivato a un’unica brillante e a suo modo rivoluzionaria conclusione: il modo migliore per combattere il potere è farne parte, accumulando tanto denaro da non esserne più soggiogato. Da qui la concezione anarchica della storia, che Giulio Base porta avanti con dialoghi e sillogismi di dirompente forza, che ci accompagnano a piccoli passi nella personale concezione sociale del protagonista insieme alle discrete musiche di Pietro Freddi e Sergio Cammariere (suo il brano L’anarchico, realizzato su misura per il film).

Il banchiere anarchico

A tratti confessione, a volte seduta psicanalitica, in altri momenti ancora scontro verbale, ma soprattutto provocatoria e raffinata riflessione sulla borghesia, libera da preconcetti e lontana dai toni macchiettistici a cui siamo tristemente abituati. Tutto questo fa de Il banchiere anarchico una delle più gradite sorprese di quest’edizione della Mostra e uno dei migliori film italiani degli ultimi mesi. Un’opera che difficilmente farà sfracelli al botteghino, ma che ci riconcilia con un cinema genuinamente spavaldo e appassionatamente ideologico, che ci spinge con garbo a estendere le nostre barriere concettuali per comprendere pienamente la complessa macchina economica e sociale che ci circonda.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.6