Ikos: recensione del corto di Giuseppe Sciarra

Prodotto da Cinetika Srls, Ikos è un cortometraggio di denuncia, duro e spiazzante, a firma del regista pugliese Giuseppe Sciarra.

Autore di Venere è un ragazzo, S.O.S Sold Out?, Il terzo occhio, Odiare e Iesus Martyr, Giuseppe Sciarra dà vita a Ikos all’esordio della pandemia da Covid-19. È proprio il virus a offrire allo sceneggiatore un’occasione di riflessione e a spingerlo a costruire questa preziosa testimonianza attingendo a piene mani nel cinema sperimentale, nella performance art, nel cinema da camera e nella forma narrativa del documentario.

Corto dalle atmosfere cupe e dilanianti, Ikos racconta l’infanzia spezzata del giovane regista foggiano, costretto a scontrarsi fin da bambino con la violenza irragionevole dell’omofobia. Una storia di dolore, ma anche di rinascita, come il titolo dell’opera suggerisce: come una fenice – in greco “ikos” – il protagonista saprà risorgere dalle proprie ceneri, risanando gli strappi e le ferite di una vita vissuta in parte all’ombra dello stigma cucitogli addosso dai bulli.

La storia vera di Giuseppe Sciarra a servizio del cinema in Ikos

Siamo in un piccolo paese del Sud Italia, Giuseppe cresce in una casa piena d’amore: a dircelo sono i tanti scatti originali e gli stralci di filmini VHS che il regista condivide con lo spettatore, quasi come sfogliando un album di famiglia, rendendolo partecipe di una quotidianità apparentemente perfetta.

Ma le apparenze, si sa, sono abili nell’artificio dell’inganno: Giuseppe bambino, il giorno della sua prima comunione, fa un cenno di saluto verso la camera da presa. Giuseppe in posa con le tre sorelle e i genitori, insegnante lui, casalinga lei. Curioso, vitale, sorridente e gentile, Giuseppe custodisce nel suo cuore un incontenibile desiderio di morte.

Un alternarsi volutamente disturbante – ma senza dubbio ipnotico – di scene dal mood magico, rituale e onirico, dipinge il bullismo con le tinte fosche di simbolismi inquietanti, misteriosi riti di purificazione e scene violente che trovano pieno sostegno nella voce narrante e nelle doti interpretative di Edoardo Purgatori.

Nella narrazione senza filtri delle vicende, infatti, il regista – protagonista in prima persona di alcune delle performance artistiche presenti nel corto – costruisce con l’attore una sorta di transfert per arrivare a una sovrapposizione di ruoli che – sebbene possa in parte disorientarci – ci ricorda che chiunque può divenire vittima di bullismo.

Bullismo raccontato come un rito di “iniziazione al dolore” che però induce Giuseppe, solo quattordicenne, a tentare il suicidio con un cocktail di pillole, spezzando l’equilibrio apparente della sua famiglia e di una vita tutt’altro che felice.

Ikos: una “lotta per la giustizia”

Ikos cinematographe.it

“Con Ikos mi sono messo in gioco raccontando la mia storia di bambino bullizzato e cercando di farlo il più autenticamente possibile. Ciò non è stato apprezzato da tutti. Mi è stato detto che avrei dovuto edulcorare la mia vicenda personale per renderla più vendibile e meno tragica. Ma perché mai? Un autore dovrebbe raccontare la verità! Essere sincero con lo spettatore sempre!” 

Mentre in una scena di rara potenza osserviamo svanire tra le fiamme il volto di Giuseppe bambino, nulla sembra alimentare la speranza di una rinascita, e la sincerità di cui il regista parla ci colpisce come uno schiaffo. Il protagonista infatti ci racconta il suo calvario anche mediante la voce della madre che, traghettandoci in un viaggio che somiglia a un faticoso ritorno al grembo, racconta il dolore del figlio.

Ora incoronato di spine, ora giustiziato, Sciarra si definisce un sopravvissuto, risorto per aver trovato il coraggio di dialogare col proprio demone interiore, scavando fino alle radici della rabbia e del senso di colpa che lo avevano trasformato da vittima a carnefice di sé stesso
Giunto a Roma, Giuseppe comincia ad amarsi, e questi quindici minuti di vita, sofferenza e coraggio approdano sui volti amici del regista, in una carrellata di sorrisi che ci accompagna nel miracolo dell’accettazione di sé e dell’altro. 
Il viso del piccolo Giuseppe si libera finalmente dalle fiamme e torna a sorridere allo spettatore, fiero di aver saputo trasformare i suoi aguzzini in ombre evanescenti, convinto di averlo fatto per sé e per tutte le vittime dell’odio e dell’omofobia.

Regia
Sceneggiatura
Fotografia
Recitazione
Sonoro
Emozione