FEFF 2021 – Hail, Driver! – recensione del film di Muzzamer Rahman

L'ottima opera seconda del regista malesiano Muzzamer Rahmar ci trasporta negli angoli più disparati di una Kuala Lumpur al bivio tra mancato senso di appartenenza e disorientamento in terra straniera. In concorso e in anteprima al 23esimo FEFF.

La Kuala Lumpur ritratta in Hail, Driver! (Prebet Sapu nel titolo originale) è un crocevia di anime perse nell’espansione in divenire della metropoli malese. Uno spazio in cui si biforcano e s’incontrano transitoriamente stranieri e immigrati indonesiani oppure cinesi; giovani in cerca di fortuna ed etnie tra le più disparate, rifugiate in una città tecnologicamente progredita e nello stesso tempo conservatrice di un passato coloniale.

In Hail, Driver! Kuala Lumpur è una città che pullula di diverse umanità

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Lì, il giovane regista Muzzamer Rahman inserisce il protagonista del suo secondo film (il primo, dello stesso anno è Takut ke Tak), un aspirante scrittore che, a seguito della scomparsa del padre, decide di trasferirsi da Pahanga a KL, ed iniziare l’attività di autista per una app di trasporti. Costretto a dormire in macchina dopo che il cognato lo ha messo alla porta, Aman (Amerul Affendi) nei lunghi turni giornalieri entra in contatto con l’umanità proletaria e turistica di una città che pullula, sospesa nelle lunghe settimane delle imminenti elezioni generali, e scissa in un divario sociale contenuto nella diacronia tra palazzi popolari fatiscenti e i cantieri edili degli edifici ultramoderni del centro. Fra le tante, Aman stringerà un legame con un’anima a lui affine: la studentessa universitaria Bella (Mei Fen Lim), originaria di Penang, che gli offre alloggio in cambio di diventare il suo autista per raggiungere i luoghi del suo lavoro notturno.

Affinità nel reciproco senso di non appartenenza

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Girato nell’arco di tre anni causa arresto forzato da difficoltà finanziarie, Hail, Driver! si mostra per la prima volta al pubblico europeo all’interno della 23esima edizione del Far East Fest, riuscendo a cogliere con sguardo fantasmatico ma pienamente umanista la transitorietà che accomuna i due protagonisti, elevando a potenza il senso di spaesamento e di mancata appartenenza di chi ha bisogno o è costretto a lasciare la propria città per trasferirsi nell’area ambigua di un posto sconosciuto. Aman soprattutto, e con lui l’occhio del regista, osserva silenzioso una capitale fatta di palazzine che paiono sormontare mostruosamente i suoi residenti, stretti in appartamenti minuscoli e surclassati da vie e autostrade colme di macchine e motorini, di metropolitane e di aeroporti.

Il sogno della metropoli svanisce al suo arrivo, e il miraggio della provvidenza si scontra con la realtà amara di una “vita dura”. Rahman sceglie il bianco e nero nitido per immortalare una sorta di paralisi a-temporale in cui il suo protagonista pare perpetuamente incagliarsi, ma lo utilizza anche per donarci, giusto il tempo del film, gli occhi di Aman e la sua particolare modalità ottica, chiusa in un campo visivo senza alcun colore e dunque privato della capacità di vedere oltre il bi-cromatismo.

Tunnel simbolici e itinerari nel film malese Hail, Driver!

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È la sensazione malinconica del trovarsi ‘fuori posto’ il senso ultimo di un’opera calibrata nei dialoghi ma attenta al brusio stagnante dei rumori della città, in cui l’elaborazione del lutto passa attraverso la presa di coscienza condivisa della possibile speranza, affidata ad un finale di nascita e dunque visione fiduciosa nell’imminente futuro. Come se la morte e vita rappresentassero figurativamente l’entrata e l’uscita non solo del film stesso – delimitato fra incipit funerario e chiosa gioiosa –, ma varco d’ingresso di un tunnel simbolico transitato verso la luce, e in definitiva dedicato all’esperienza vitale stessa.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.2