Falcon Lake: recensione del film di Charlotte Le Bon

Quello di Charlotte Le Bon è un esordio folgorante, ipnotico, sinistro ed incredibilmente seducente. Un racconto estivo atipico e dall’impronta autoriale immediatamente riconoscibile che sfruttando al meglio le logiche narrative e stilistiche del coming of age, o racconto di formazione, si concentra su tutto ciò che è pulsione, curiosità, scoperta, gelosia, proibito e paura. Sulla perdita dell’innocenza, l’accettazione dei propri fantasmi ed istinti, e sul ritorno a quei luoghi dell’anima che ci hanno segnati, rendendoci inevitabilmente ciò che siamo. Falcon Lake è al cinema a partire da giovedì 29 giugno, distribuzione a cura di Movies Inspired

Chi l’avrebbe mai detto che Charlotte Le Bon, ex modella canadese ed in seguito interprete di numerosi titoli del cinema recente, tra i quali The Walk di Robert Zemeckis e Fresh di Mimi Cave, potesse nascondere un così evidente talento registico da esplodere appena dopo l’uscita del suo esordio Falcon Lake?
Eppure, il film della Le Bon, passato per la 75ª edizione del Festival di Cannes, nella sezione Quinzaine des Réalisateurs e poco dopo per la 47 ª edizione del Toronto International Film Festival, sembra aver convinto la critica all’unanimità, raggiungendo ben presto accordi distribuitivi su scala internazionale, tanto da arrivare fino a noi, in catalogo alla 40° edizione del Torino Film Festival.

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Falcon Lake, figlio di un’idea di cinema minimalista, che guarda all’impronta stilistica della A24 – sempre più noto marchio cinematografico produttivo e distributivo nato attorno al 2012 a New York, cui sono legati autori come Robert Eggers, Alex Garland e Sean Baker – è fortemente centrato su di un solidissimo e suggestivo lavoro d’immagine e inquadratura, e così di scrittura e interpretazione, al di là degli evidenti limiti di budget, che nulla possono di fronte ad una cifra stilistica così folgorante e vivida.
Un cinema indipendente che, affidandosi alla purezza delle sensazioni, dei turbamenti, delle esperienze condivise, delle paure e dei tumulti emotivi vissuti da ciascuno di noi nel lungo percorso della vita, centra il bersaglio, configurandosi come uno dei casi cinematografici dell’anno. Certamente uno dei titoli più audaci, convincenti, atipici, eppure memorabili del cinema recente, e non possiamo che esserne curiosi e gioirne.

La perdita dell’innocenza e i nostri fantasmi

Québec, laghi e chalet. No, pur essendo dalle parti del cinema di Xavier Dolan, Falcon Lake ci conduce da tutt’altra parte. Verso un cinema puramente e (at)ipicamente estivo che guardando ai maestri indiscussi del filone “estate e amore giovane”, Rohmer e Pialat, ne ribalta ben presto logiche e dinamiche narrative, presentandoci un incontro fatto di sguardi, curiosità, distanze, ed interessi che vanno al di là dell’attrazione più banale, immediata e carnale e che si legano piuttosto ad una necessità di ascolto e di comprensione così difficilmente rintracciabile nel legame tra genitori e figli, e che solo un coetaneo – o quasi – può provare a dare.

Provare appunto, poiché Bastien (Joseph Engel) taciturno, ma coraggioso dodicenne, sembra aver davvero poco a che spartire con la sfrontata sedicenne Chloé (Sara Montpetit, in una prova incredibilmente seducente e dolorosa), con la quale si ritrova a dover condividere la camera da letto nel corso di una breve vacanza estiva nel piccolo chalet di famiglia, sperduto tra i boschi e i laghi del Québec.

Bastien osserva il lago, trascorrendo interi pomeriggi o giornate con i piedi in ammollo, o seduto su di una vecchia poltrona adagiata tra sterpaglie e sassi, posta dinanzi ad esso. Chloé invece nuota instancabilmente, immersa nelle acque di quello stesso lago che crede essere maledetto, o quantomeno infestato dal fantasma di un ragazzino annegato lì qualche tempo prima.

Laddove Bastien osserva, Chloé preferisce essere osservata, innescando fin da subito un meccanismo voyeuristico fatto di sguardi, non detti, timori, tumulti emotivi e curiosità inevitabilmente legate ad un desiderio carnale di natura sessuale, apparentemente proibito ed impossibile. Un po’ per la differenza d’età, e un po’ per quei turbamenti di Chloé, che Bastien pur ascoltando con estremo interesse, non può comprendere realmente, per via di un’innocenza non ancora perduta e sempre più prossima all’addio.

Se infatti le atmosfere sinistre e prepotentemente gotiche del lago e dello chalet divenendo vere e proprie protagoniste di un film che non smette mai davvero di dialogare con l’horror, pur preferendogli il registro drammatico e sentimentale, veicolato in termini di racconto di formazione, modellano l’emotività di Chloé, che lì ci vive e ci resta, nulla possono rispetto a Bastien, un ingenuo e semplice villeggiante, dunque visitatore di passaggio e invulnerabile al peso di quella solitudine e quelle ombre.

Il Québec che la Le Bon filma, in un 4:3 granuloso e romanticamente vintage, è magnifico e al tempo stesso orrorifico, destinato a mutare come gli stessi Bastien e Chloé. Muovendosi dunque tra il clima più soleggiato e confortante di splendidi crepuscoli e albe, ed il sinistro, angosciante e tetro alternarsi di nebbie e solitarie paludi, Falcon Lake lavora su di un immaginario fortemente sensoriale, centrato sui luoghi, le sensazioni, i volti, gli sguardi e le attese dei – e tra – i corpi, quello ancora puerile di Bastien, e quello già adulto e seducente di Chloé.

Un racconto di formazione atipico che esaltando la paura, come parte talvolta inavvertita, altrimenti profondamente consapevole di ciascuno di noi, osserva la crescita dei suoi due giovani protagonisti, attraverso il superamento della stessa, in seguito all’accettazione di quel cambiamento improvviso che segue le prime esperienze, e poi le sfide che coinvolgono il coraggio, l’audacia e la curiosità dello spingersi oltre e di ciò che verrà.

“Alcuni fantasmi non si rendono conto di essere morti. Non erano pronti a morire. Vivono ancora tra noi, ma non possono comunicare”

Prima ancora d’essere cinema sentimentale, Falcon Lake muove una riflessione estremamente sincera, personale ed emotiva attorno al significato della solitudine, dell’impossibilità di essere compresi, dell’incapacità di un genitore, o di un coetaneo, di cogliere le debolezze e cadute di un figlio, e poi ancora del desiderio giovanile ed incosciente di esplorazione sessuale, anche e soprattutto al di là dell’amore.
L’esordio della Le Bon a differenza di molti altri coming of age, ribalta con grande coraggio e decisione, le logiche utopiche e illusorie di un certo modello di cinema romantico e adolescenziale, quello ciò che più siamo soliti ritrovare tra cinema e televisione e che vorrebbe l’amore giovane come assolutamente idilliaco e privo di turbamenti, facendosi indagine rarefatta e sincera sul legame tra paure, desideri, pulsioni, istinti e addii.
La perdita dell’innocenza non può che legarsi dunque al fantasma di ciò che i due, e noi, un tempo siamo stati e che ormai non siamo più.

Falcon Lake: valutazione e conclusione

Chiacchiere notturne, corse in bicicletta, innamoramenti proibiti, gelosie e curiosità carnali inevitabilmente eccitanti e dolorose, soprattutto se impossibili, soprattutto se minate dalla paura, o peggio, dalla morte.

Quello di Charlotte Le Bon è un esordio folgorante, ipnotico, sinistro, incredibilmente seducente e memorabile, diretto da un’esordiente che fin dalle primissime inquadrature dimostra di possedere un’impronta stilistica unica e senza precedenti, poggiata su due interpretazioni davvero convincenti di Joseph Engel e Sara Montpetit, così come su di una fotografia sensazionalmente suggestiva di Kristof Brandl.

Correte in sala, Falcon Lake è al cinema a partire da giovedì 29 giugno. Distribuzione a cura di Movies Inspired.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4.5
Fotografia - 4.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4.5
Emozione - 4.5

4.5