Roma FF16 – E noi come stronzi rimanemmo a guardare: recensione

La commedia, che figura tra gli eventi speciali della 16esima edizione della Festa del Cinema di Roma, critica fortemente la tecnologia immaginando un mondo, fin troppo derivativo e piatto, assoggettato dagli algoritmi matematici.

E noi come stronzi rimanemmo a guardare è la nuova commedia di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif, noto conduttore televisivo, attore, scrittore, regista, sceneggiatore e autore italiano, che ha già portato sul grande schermo La mafia uccide solo d’estate (2013) e In guerra per amore (2016). In particolare, nel caso di questo film, il film-maker nostrano ha firmato sia la regia che la sceneggiatura, accompagnato da Michele Astori (Speravo de morì prima, In fabbrica). Quest’opera ha un’impostazione ben chiara: criticare la tecnologia, ancorandosi ai problemi della nostra contemporaneità e il risultato è la costruzione di un futuro prossimo dove degli algoritmi matematici decidono interamente la nostra esistenza, andando a rinunciare sempre di più alla componente umana.

E noi come stronzi rimanemmo a guardare è tra gli eventi speciali della Festa del Cinema di Roma, festival arrivato alla sua 16esima edizione. La realizzazione è distribuita da Vision Distribution e vedrà la sala solo per tre giorni, il 25, 26 e 27 ottobre. Il film, essendo uno Sky Original prodotto dalla stessa Vision Distribution, I Diavoli e Wildside, arriverà sicuramente prossimamente sul celebre servizio televisivo anche se non sappiamo quando.

E noi come stronzi rimanemmo a guardare: una sceneggiatura arguta ma schiacciata dalla superficialità

E noi come stronzi rimanemmo a guardare

Arturo (Fabio De Luigi) è un manager di un’importante azienda italiana che, sfortunatamente, è licenziato dallo stesso algoritmo che ha applicato nella sua company: tale strumento consente di eliminare persone superflue all’interno dell’organico e dalla macchina viene considerato non idoneo al servizio. Chiusa da poco una relazione amorosa importante per la sua vita, l’uomo si trova solo e senza un lavoro e per questo motivo inizia un percorso nell’azienda Fuuuber (che ovviamente fa il verso ad Uber, ma non solo), colosso tecnologico italiano che ha monopolizzato il paese. Da semplice rider, Arturo cerca di scalare i vertici di quest’azienda, ma tutto gli rema contro, a partire dal sistema di retribuzione, che premia solamente in base alla soddisfazione del cliente. Senza di questa, purtroppo, non andrà mai troppo lontano…

Il mondo così come è rappresentato in E noi come stronzi rimanemmo a guardare è dominato interamente dal potere della tecnologia, che controlla ogni singolo aspetto dell’esistenza delle persone. Di fatto gli esseri umani sono diventati numeri, semplici ingranaggi di un sistema votato al misterioso algoritmo, un metodo che fondamentalmente regola la vita economica e lavorativa del paese. La sceneggiatura di Pif, per costruire tale background, si appella a tanti problemi del nostro tempo e li contestualizza in un futuro fittizio dove questi ostacoli sono esasperati da un’umanità sempre più latente e schiava del progresso. Il copione alterna dei dialoghi e dei momenti particolarmente riusciti ad altri fin troppo banali, superficiali e figli di una scrittura sbrigativa.

L’intero comparto narrativo suggerisce, di facciata, tante belle idee sulla carta che però non sono state accompagnate da una messinscena degna. Di fatto il messaggio è arguto, intelligente e in alcuni casi fa anche parecchio riflettere, ma purtroppo si perde il più delle volte in soluzioni scontate. Lo stesso modus operandi si può notare con i personaggi: se ad esempio il protagonista, Arturo, è caratterizzato degnamente, tutti i secondari purtroppo sono solo ombre prive di personalità che invece avevamo tutte le potenzialità per rendere questa storia più ricca e stratificata.

La regia di E noi come stronzi rimanemmo a guardare cerca di rendere il più possibile il concept iniziale al meglio, riproducendo una città soggiogata totalmente da strumenti elettronici, da dispositivi all’avanguardia, con gli esseri umani che sono solo una particella del sistema. Il problema più grande è che, nonostante qualche sprazzo creativo, la maggior parte del background è fondamentalmente vuoto, non dando per niente l’idea di un futuro prossimo. È chiaro che tutta questa visione tecnologica è volta ad una critica dei nostri giorni, ma al tempo stesso un maggiore approfondimento dal punto di vista estetico avrebbe giovato al progetto.

E noi come stronzi rimanemmo a guardare: un mondo tecnologico derivativo fino al midollo

E noi come stronzi rimanemmo a guardare

Oltre a ciò, la scarsa originalità si può intravedere anche nella costruzione vera e propria del mondo della realizzazione. L’intero universo contenutistico e narrativo è, infatti, fin troppo derivativo, inspirato a serie televisive recenti di fantascienza, in particolar modo a Black Mirror e Upload. Dalla prima opera il titolo ha recuperato il concetto di un sistema lavorativo che premia in base alle prestazioni, ma anche molti altri aspetti di contorno che si possono trovare all’interno del film come l’interazione con gli ologrammi che riproducono perfettamente i nostri bisogni. Da Upload, invece, è evidente che è stata ripresa l’idea di infrastruttura digitale dinamica che interagisce in maniera capillare con gli uomini come si può evidenziare nella scena in cui il protagonista si reca ad un pronto soccorso interamente automatizzato.

Di per sé tanti prodotti del mercato dell’audiovisivo sono derivativi e questo effettivamente è normale, ma nel caso di E noi come stronzi rimanemmo a guardare, le varie idee utilizzate sono state riportate senza nessuna modifica, solo cambiando un po’ il contesto e il messaggio di fondo. Ci sono anche delle trovate che sono del tutto nuove e fresche e queste fanno parecchio divertire il pubblico, ma per il resto la sensazione generale è quella di vivere un continuo ed irritante déjà-vu. Sul fronte tematico vero e proprio, invece, Pif è riuscito a trovare un buon equilibrio, raccontando, in bilico tra dramma e commedia, tante riflessioni sul precariato, sulla privacy, sul costante controllo dei social network e molto altro ancora.

Passando alle interpretazioni, degna di nota è la partecipazione di Fabio de Luigi (La peggior settimana della vita, Metti la nonna in freezer), che regge l’intero film. D’altronde il suo personaggio, Arturo, è quello che ha più presenza su schermo e che subisce e reagisce all’intera storia presentata. Anche Pif si prende il proprio spazio all’interno della realizzazione, ma, al contrario di De Luigi, a causa di una caratterizzazione non proprio brillante, rimane fin troppo sullo sfondo. Stessa sorte per la Pastorelli che comunque dimostra ancora una volta il suo talento in scena.

E noi come stronzi rimanemmo a guardare è un film che poteva essere molto di più: per quanto il concept iniziale creativamente ideato da Pif non sia per niente scontato come può apparentemente sembrare, quello che frena enormemente l’intero lungometraggio, dalla regia alla sceneggiatura, è la quasi totale mancanza di idee originali, aggravata dal fatto che molte delle soluzioni contenutistiche derivano per intero da altri prodotti. La realizzazione, in generale, ha ben chiara l’intenzione di criticare il presente con un’impostazione tragicomica che purtroppo, a causa dei problemi riportati sopra, non risulta mai efficace completamente.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.9