TSFF 2021 – Domovine: recensione del film di Jelena Maksimović

In poco più di un’ora la giovane regista serba Jelena Maksimović strappa una pagina dal suo diario personale e trasporta lo spettatore nei luoghi della Guerra Civile Greca. Domovine, a metà fra il documentario e il memoir, raccoglie frammenti di un passato sepolto fra la neve e le macerie.

In un periodo storico in cui la casa e la sua dimensione protettiva e claustrofobica al tempo stesso, si sta inevitabilmente sostituendo al nostro vivere gli spazi del fuori, impendendoci di viaggiare e allontanandoci dalla natura; i paesaggi del film di Jelena Maksimović irrompono brutali e bellissimi in tutto il loro lento mostrarsi. Si ha quasi l’impressione di poterle vedere davvero le infinite montagne innevate del Kaimakchalan al confine fra Grecia e Macedonia, che la regista serba classe 84 rileva in folgoranti inquadrature attraverso dissolvenze che si aprono (e terminano) nella stessa, adagiata, pieghevole maniera. Domovine, presentato nella sezione Fuori dagli Sche(r)mi all’interno della 32esima edizione del Trieste Film Festival, è un viaggio personale nei luoghi della Guerra Civile Greca alla ricerca di un passato che sta lentamente cancellando le sue tracce.

Canti popolari, materiale d’archivio e lunghe inquadrature sulla natura. Domovine mette insieme i ritagli di un trascorso e il loro oblio nel presente

La giovane regista di Belgrado, qui al suo terzo lungometraggio, proietta nella giovane protagonista Lenka (Jelena Angelovski, qui anche produttrice del film) il soggetto di un itinerario famigliare che inizia con una canzone d’amore malinconica in radio e che accompagnerà alla guida la protagonista fino al suo arrivo in montagna. Lì, in un rifugio del posto, Lenka ascolterà frammenti di storie personali, racconti di turisti persi da itinerari improvvisati, ristoratori emigrati dalle isole in cerca di fortuna, passeggerà e osserverà un territorio a lei sconosciuto ma che ha un legame indissolubile con la sua memoria. In poco più di un’ora, Domovine raccoglie frammenti del passato, tra materiale d’archivio e canti popolari della Guerra Civile Greca combattuta dal 1946 al 1949 fra l’esercito governativo e l’esercito popolare greco di liberazione. Un presente di macerie e natura che proprio di quel traumatico ieri sembra volerne cancellare le tracce, fra il logorio del tempo e l’immobilità che tutto cela.

Un movimento circolare (e finale) cattura il lascito delle lotte partigiane e la storia di una donna costretta ad abbandonare la sua terra

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In un film che appare quasi come una pagina strappata da un diario intima ed estremamente personale, Maksimović, che è stata (ed è) anche ottima montatrice, dilata luoghi e spazio, confezionando un film a metà fra il documentario e il memoir che di certo può apparire di non immediata comprensione. Il perché di quel viaggio, di tutto quel camminare malinconico e assorto nelle montagne prima bianche poi di nuovo verdi d’estate, di quale sia la reale urgenza artistica e personale lo spettatore dovrà attendere la fine per capirlo veramente. Finalmente Lenka –e dunque la regista – si apre ad un monologo finale attraversato da una lunga panoramica, che ritrovando il punto di arrivo nel suo stesso punto di partenza rileva in quelle parole le idee politiche e il lascito ideologico di Eleni Gacu, la nonna della regista scomparsa nel 2007, che in gioventù proprio in quelle montagne fu costretta a lasciare la Macedonia Egea (Grecia del Nord) nel triennio di guerra. Sotto la pista da sci in cui abbiamo visto Lenka prendere lezioni di ski board, un tempo c’era la casa di sua nonna, ora centro turistico di un presente che cerca, forse troppo in fretta, di dimenticare.

“Una danza di memoria e forza”. Chiudere il cerchio di generazione e lasciti

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Le parole della regista che prendono vita attraverso quelle della sua protagonista, chiudono un cerchio simbolico di generazioni passate e future esprimendo quello che lei stessa definisce “una danza di memoria e forza” di emancipazione e socialismo, di patriarcato e sistemi sociali, di femminismo e resistenza. Un viaggio riflessivo il cui senso finalmente è chiaro anche noi: ritornare in patria (da qui il termine serbo che dà il titolo al nome) come unica arma possibile per comprendere il lascito del presente.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 3
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.4