Bruised – Lottare per vivere: recensione del film Netflix di e con Halle Berry

La recensione dello sport-drama ambientato nel mondo delle arti marziali miste che segna l’esordio dietro la macchina da presa dell’attrice premio Oscar. Dal 24 novembre su Netflix.

Nella lunga lista di attori e attrici che hanno voluto e avuto la possibilità di passare dietro la macchina da presa, da qualche mese figura un altro importante nome dello star system a stelle e strisce. Stiamo parlando di Halle Berry che, prendendo il posto di Nick Cassavetes, inizialmente designato al ruolo, ha firmato oltre che con il corpo, le corde vocali e le emozioni, ossia gli strumenti normalmente a sua disposizione, anche la regia di Bruised – Lottare per vivere, rilasciato da Netflix lo scorso 24 novembre a un anno circa di distanza dal battesimo al Toronto International Film Festival.

Bruised – Lottare per vivere è uno sport-drama che vede Halle Berry impegnata sia dietro che davanti la macchina da presa

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Per il suo esordio, l’attrice di Cleveland ha deciso di sdoppiarsi, ritagliando per sé il ruolo della protagonista di questo sport-drama dalle tinte forti, in cui veste i panni di Jackie “Pretty Bull” Justice, una famosa lottatrice di MMA caduta in disgrazia dopo una cocente sconfitta. Anni dopo la fine della sua carriera, la donna si trova a vivere un periodo cupo, fatto di lavori santuari, violenze domestiche e alcolismo, dove verrà obbligata dal fidanzato e manager a partecipare a un match clandestino. Lì attira l’attenzione di un promotore di una lega di professionistica che, con l’aiuto del suo staff, la rimetterà in piedi e la riporterà nell’Ottagono. Ma la strada verso la redenzione diventa inaspettatamente più dura e accidentale quando Manny, il figlio di sei anni a cui aveva rinunciato da bambino, bussa alla sua porta.

Bruised è un film sulle seconde occasioni, quella di un’atleta, di una donna e di una madre

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Partendo dallo script di Michelle Rosenfarb, che a sua volta ha attinto a piene mani dal ricco e fortunato filone del dramma sportivo, la Berry porta sullo schermo l’ennesima storia di caduta e risalita di un’esistenza alla quale viene offerta una seconda possibilità. Nel caso della Justice si tratta di una triplice occasione, quella di una lottatrice che può tornare a combattere quando tutto e tutti la davano per finita, di una donna che trova un’opportunità di riscatto fuori dal ring e di una madre che torna ad essere tale. Bruised muove le proprie corde narrative e drammaturgiche portando avanti parallelamente questi tre aspetti, che strada facendo finiscono più volte per intersecarsi. Il ché getta le basi di una vicenda umana e sportiva stratificata, nella quale l’autrice della sceneggiatrice mette moltissima carne al fuoco e chiama in causa temi universali e dal peso specifico rilevante.

La generosità della scrittura si rivela un’arma a doppio taglio

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Proprio questa abbondanza in termini di scrittura rappresenta il punto di forza e al contempo l’arma a doppio taglio con la quale la Berry ha dovuto fare i conti in fase di trasposizione e messa in quadro. È inevitabile e fisiologico che in cotanta abbondanza qualcosa si perda strada facendo, come ad esempio la componente sentimentale (vedi la relazione con l’allenatrice Buddhakan), ridotta ai minimi termini, appena abbozzata, quel poco da risultare forzata e accessoria. Dall’altra parte, invece, il percorso a ostacoli che si trova ad affrontare la protagonista è di quelli che sanno come calamitare l’attenzione dello spettatore, quest’ultimo continuamente coinvolto e sollecitato emotivamente rispetto agli accadimenti e al cammino dell’atleta, della donna e della madre. Lentamente viene a galla tutto il passato doloroso di Jackie, segnato dall’assenza della madre, dalla perdita del padre e da un’adolescenza violata. Tale magma incandescente, una volta venuto a galla in prossimità del giro di boa, alza in maniera esponenziale l’asticella della temperatura, sino all’ebollizione.

Halle Berry porta a casa una valida opera prima e un’interpretazione intensa e toccante

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È quella la svolta del film, che fino a quel momento navigava sulle rotte sicure e già battute della rivincita sportiva del caduto di turno, che con Million Dollar Baby e The Wrestler ha toccato vette altissime. Un’innalzamento, questo, che va di pari passo con l’interpretazione della Berry, nella quale si rivedono lampi potentissimi ai quali il pubblico non assisteva dai tempi di Monster’s Ball – L’ombra della vita, che le valse un meritatissimo Oscar nel 2002. Per Bruised esiste dunque un prima e un dopo la suddetta rottura del climax, con la pellicola che cambia passo e quadruplica le emozioni. Ciò permette al film di essere contemporaneamente un valido ed efficace dramma sportivo ambientato nel mondo delle delle arti marziali miste, che segue alla lettera il modus operandi del filone in questione (l’incontro valido per il titolo di campionessa dei pesi mosca con l’imbattuta Lucia “Lady Killer” Chavez da solo vale il prezzo dell’abbonamento), e un’odissea umana che lascia il segno. Non è come già detto tutto rose e fiori, poiché l’architettura nel suo complesso mostra delle piccole crepe e qualche lungaggine di troppo che gonfia la durata portandola sopra la soglia delle due ore. Ma al netto di questo il risultato merita un’occasione e un plauso alla Berry che per il suo debutto alla regia non ha di certo scelto un progetto semplice, a maggior ragione se affrontato davanti e dietro la macchina da presa, rispettivamente con una performance e una messa in quadro entrambe complesse.              

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.5

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