Beate: recensione del film di Samad Zarmandili

Beate racconta, con ironia e leggerezza, il difficile mercato imprenditoriale dando uno sguardo alla condizione femminile nel mondo del lavoro.

Una fabbrica di biancheria intima del nord Italia mette in cassa integrazione le sue operaie. Nello stesso momento, le suore di un convento rischiano lo sfratto. Ci vorrebbe un miracolo per salvare la situazione, fino a quando Armida, una delle operaie, ha un’idea che potrebbe risolvere ogni cosa. L’unico problema sarà convincere la zia, religiosa infervorata, che crede di lavorare per il diavolo, favorendo un mercato nero. Beate diventa così una storia di rivalsa tutta al femminile.

Beate: un film delizioso ma forse troppo leggero

Dopo aver diretto dei cortometraggi alcuni episodi della fiction Squadra Antimafia, Samad Zarmandili si cimenta dietro la macchina da presa per un prodotto cinematografico. Il regista 44enne confeziona un delizioso film, leggero (forse troppo) e ironico, che tra battute e gag scoperchia una triste realtà lavorativa attuale. Nel film, la crisi colpisce una fabbrica di intimo, ma al suo posto potrebbe esserci anche una grossa azienda o una piccola compagnia. Beate è la storia di questo gruppo di donne che non si arrende di fronte la cassa integrazione. Fanno dei mercatini, ricevono tante critiche, ma alla fine riescono a metter su un business che funziona, a dispetto di chi le dava per vinte.

Armida, interpretata da un’intrepida Donatella Finocchiaro, è il vero personaggio motrice del film. È lei a spingere le sue colleghe a rimettersi in carreggiata e, successivamente, a convincere la zia monaca, che possono rimboccarsi le maniche. Armida ha anche una storia personale; è la classica donna e madre single – sua figlia è un’adolescente, il padre non viene mai menzionato nel film – che non ha marito. Ha una malformazione al piede che le crea difficoltà a camminare. È legata, però, a Loris (interpretato da Paolo Pierobon), il magazziniere della Veronica, la fabbrica dove lavorava all’inizio del film. È un uomo persuasivo e con i suoi modi di fare riesce ad affascinare il gentil sesso. Le suore sono spassose, a cominciare dalla giovane Caterina, sostituta della Madre Superiora, interpretata da Maria Roveran. Il ritmo della narrazione e la musica contribuiscono a rendere il tutto un film godibile e di intrattenimento: sono rari i momenti in cui ci si annoia. La fotografia contribuisce a dare maggior visibilità alla pellicola e permette di entrare nel vivo della loro storia, raccontando la realtà di un piccolo paese.

Beate: un elogio alla solidarietà femminile

C’è una piccola pecca nel film di Samad Zarmandili e risiede nei personaggi. Gestirne troppi comporta, infatti, qualche mancanza. Alcune storie non sono approfondite a dovere, soprattutto quelle delle compagne di Armida, su cui ovviamente la storia si concentra maggiormente. Le suore fungono quasi da supporto alla storia e non riescono ad emergere di fronte alla protagonista che regge l’intera pellicola. Ed è qui che si evidenziano alcune debolezze nella sceneggiatura e il film subisce qualche intoppo. Si premiano, però, i duetti sfavillanti e incalzanti tra il personaggio della Finocchiaro e la zia suora, interpretata da Lucia Sardo. Quest’ultima punzecchia la nipote sul suo stato famigliare di donna e madre single, così emergono pregiudizi che le dividono, ma allo stesso tempo servono a rafforzare il loro rapporto.

Al di là dei difetti, quasi innocui, Beate scorre senza intoppi e regala una storia dove viene premiata la solidarietà femminile, in un mondo, soprattutto quello del lavoro, in cui convivono gelosie, ipocrisie e false amicizie tra colleghe.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.3