Awake: recensione del fanta-action post-apocalittico Netflix

Cosa accadrebbe alla specie umana se per cause misteriose venisse travolta da un’insonnia globale che impedisse a tutti di dormire? La risposta la potrete trovare nel film Netflix diretto dal canadese Mark Raso. Disponibile dal 9 giugno 2021.

Tutti sappiamo quanto dormire bene è importante, perché aiuta il nostro corpo a funzionare meglio, svolgendo un ruolo di riprogrammazione genetica dell’organismo e del cervello. Oltre alla qualità, fondamentale è anche la quantità di ore dedicate al sonno. Ma se un giorno per un misterioso fenomeno la gente smettesse di dormire? Un primo assaggio delle possibili conseguenze lo abbiamo visto nel 2004, entrando nella vita di Trevor Reznik, il protagonista di L’uomo senza sonno. Nel film di Brad Anderson, vediamo come si possa ridurre un uomo che non riesce a dormire da un anno a causa di uno shock. Qui il motivo scatenante è noto a differenza di quello che invece in Awake, il fanta-action post-apocalittico rilasciato lo scorso 9 giugno da Netflix, ha gettato il mondo intero nel caos più totale.

Awake ci mostra gli effetti devastanti che l’impossibilità di addormentarsi può provocare nell’essere umano

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La pellicola di Mark Raso, qui alla sua terza esperienza sulla lunga distanza, ci mostra gli effetti devastanti che l’impossibilità di addormentarsi può provocare sui singoli e su larga scala. La mente si piega sino a quando non si spezza e s’impazzisce. Dopo 48 ore c’è una perdita del pensiero critico per via dell’aumento della pressione sulle pareti craniche dovuta al gonfiamento del cervello. Dopo 96 iniziano ad affacciarsi allucinazioni e deficit motorio. Successivamente gli organi cedono e a quel punto seguono giorni di paralisi fino a quando il cuore non smette di battere. Urge dunque trovare immediatamente una soluzione per evitare il collasso di un’umanità che nel frattempo è già sprofondata in un vortice di violenza, saccheggi e sopraffazione.

Se poi ci si mette anche l’assenza di energia elettrica, allora la situazione è davvero al limite. Urge dunque una cura per ristabilire l’ordine e la sola che potrebbe salvare l’essere umano dall’estinzione è Matilda, la figlia minore della protagonista di Awake, un’ex soldatessa dal passato complicato di nome Jill. La sua seconda genito  potrebbe essere la chiave per risolvere l’insonnia che ha colpito il mondo interro. Pare che sia l’unica a dormire sonni tranquilli, per cui gli scienziati incaricati di trovare una cura hanno tutte le intenzioni di usarla con cavia per giungere al vaccino. Parte così una corsa contro il tempo, nella quale una donna si troverà a decidere se seguire il suo istinto materno o sacrificarlo in nome dell’umanità. Alla visione l’ardua sentenza.

Awake entra di diritto a far parte dell’abusato sottogenere del fanta-action post-apocalittico con una conseguente carenza di originalità

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Il film del cineasta canadese si iscrive in un sottogenere particolarmente abusato, ossia il filone post-apocalittico. Il ché crea di suo un problema alla base, che è quello della difficoltà di trovare uno spunto interessante e soprattutto originale su e intorno alla quale sviluppare il plot e le dinamiche dei personaggi che lo animano. Se la venuta meno dell’elettricità è piuttosto diffusa nel suddetto filone, quella del sonno invece non sembra avere così tanti precedenti. Motivo per cui l’autore sembra puntare moltissimo su questa assenza dalle cause sconosciute, tanto che inizialmente le ipotesi vanno tutte nella direzione dell’attacco terroristico. Resta il fatto che la protagonista, la sua prole e il resto della popolazione mondiale devono vedersela con un’insonnia globale che non ha una spiegazione scientifica, ma che per qualche strano motivo non ha colpito la piccola Matilda. Il destino dell’umanità dunque dipende da un singolo come era accaduto in Blindness di Fernando Meirelles o in I figli degli uomini di Alfonso Cuarón.

La scrittura è il tallone d’Achille di un film che può contare solo su qualche sussulto tecnico

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Purtroppo Awake non riesce a sfruttare a dovere questo spunto. La scrittura finisce con il depotenzializzare gli effetti che un simile “handicap” avrebbe potuto generare in termini drammaturgici e di colpi di scena. Ma non è così, perché gli autori dello script mettono in piedi un racconto prevedibile, dai continui rimandi, che non lascia margine alcuno al fattore sorpresa. Per il resto le performance degli attori coinvolti, a cominciare da quella di Gina Rodriguez nei panni di Jill, sono appena sufficienti a rendere il tutto quantomeno credibile. Chi invece era dietro la macchina da presa ha fatto di tutto per tenere a sé lo spettatore e fare fronte ai limiti palesati dalla scrittura. Quando la regia spinge il piede sulla tensione e l’azione, vedi ad esempio nelle scene dell’incidente, dell’assalto notturno all’auto e alla fuga dalla chiesa, la timeline ha come dei sussulti, insufficienti però a mantenere il film sulla linea di galleggiamento della sufficienza.

Regia - 3
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2
Emozione - 1

2

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