All the Streets are Silent: recensione del docufilm di Jeremy Elkin

La recensione di All the Streets are Silent, il docufilm di Jeremy Elkin in cui l'incontro tra skater e rapper definisce un luogo linguaggio

All the Streets are Silent, è il progetto/ricerca diretto da Jeremy Elkin, con la narrazione di Eli Morgan Gesner (co-fondatore di Zoo York), distribuito dalla Wanted, nelle sale italiane dal 18 luglio 2022. All the Streets are Silent è un documentario che narra un viaggio, a cavallo tra gli anni’80 e ’90, all’interno della cultura urbana della Grande Mela. L’approccio del regista è estremamente contemporaneo e fa emergere la volontà di inclusione extra culturale tipica di quegli anni in un contesto di grande fermento e grandi cambiamenti storici ed antropologici.

All the Streets are Silent: le realtà socioculturali periferiche definiscono un nuovo design linguistico

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Siamo a un passo da quella che poi sarebbe stata definita “globalizzazione digitale”, prima dei tormentoni e e dell’avvento della pubblicità e del design comunicativo spinto da MTV e la rivoluzione dei social media e del loro nuovo sistema linguistico. L’intero documentario, attraverso testimonianze di skater, artisti, rapper, interpreta perfettamente le varie realtà emergenti toccando il tema socioculturale ed economico della periferia newyorkese, e proponendo la diatriba tra Brooklin oggi resa un vero e proprio set cinematografico, e la ricchissima Manhattan. Due mondi che oggi nel 2022 si incontrano e combaciano, ma che ai tempi in cui il Jazz e i suoi magnifici interpreti emergevano rappresentando tematiche di grande valenza sociale, erano sconosciute l’una all’altra.

Jeremy Elkin, nel suo esordio sul grande schermo, dettagliatamente racconta l’incontro della cultura skater con la cultura hip hop, nel decennio, il 1987 e 1997, durante il quale la black dance e music affollano le strade principali della città, una città che non dorme mai. Sono gli anni delle grafiche e delle battles artistiche, fantastici anni in cui la cultura artistica diventa propaganda politica, gli anni della ribellione che riemerge dai battaglieri sessanta nel pop di Andy Wharol e Basquiat.

All the Steets are Silent, presentato a Tribeca 2021, è un lavoro che parallelamente indaga sulle due sottoculture che spaccano New York, così come anticipato nel sottotitolo originale The Convergence of Hip Hop and Skateboarding.

All the Streets are Silent: il rap e l’hip hop più insieme per un manifesto socioculturale e politico

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Una storia di due culture che si sono sempre osservate e corteggiate; il mondo hip hop ha sempre invocato questo incontro/incrocio. Mixtape è stato sicuramente il primo video con una colonna sonora d’impatto, musiche di Strecht Armstrong, Bobbito show e Zoo York. Come preannuncia il brano di Method Man del 1994 “gente, state con me? dove siete?”, un chiaro invito alla connessione oltre gli standard e le categorie, seguito da Busta Rhymes, il rap diventa colonna sonora di video amatoriali, coinvolgendo le prime radio e definendo quella che diverrà l’epoca d’oro dell’ hip hop, un paio d’anni in anticipo rispetto al mondo dello skateboard fino a cementarne il legame divenendo baluardo di una cultura sociale e politica, un manifesto di protesta, contro la ricchezza, contro la violenza e il degrado, contro l’eccessiva quantità di droga che dal basso arrivava all’alto dei grattacieli di Manhattan.

Sullo schermo si alternano immagini di repertorio e testimonianze di quelli che allora erano ragazzi di strada e ora sono nomi affermati, come Rosario Dawson, Fab5 Freddy, Stretch Armstrong, Leo Fitzpatrick, Moby e Darryl McDaniels.

All the Streets are Silent, è un documentario che centra l’attenzione sulle nuove visoni linguistiche oltre che artistiche, un filmato di 89 minuti in cui emerge il cambiamento dall’elitario al popolare determinando le basi dello street style moderno.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Sonoro - 3.5
Emozione - 3

3.1