Roma FF17 – Alam: recensione del film

Un film politico, che mostra l'idea della rivoluzione usando la grammatica dei simboli.

Alam (Flag, bandiera), prima prova alla regia di Fïras Khoury, è un coming of age politico girato in Tunisia e ambientato in Israele che monopolizza l’attenzione sui simboli e in particolare sulla bandiera: rettangolo di stoffa in cui si agglomerano ideali e identità, che unisce e divide, talvolta spaventa.
Presentato durante la 17ma edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Progressive CinemaAlam si focalizza sul conflitto tra israeliani e palestinesi ma lo fa attraverso gli occhi dei giovani, di chi si è trovato catapultato in una storia di cui ha conosciuto i dettagli anche e soprattutto grazie alle ingiustizie subite dai propri cari. Ecco allora che le ferite di nonni e genitori si rovesciano sull’esistenza di alcuni liceali, delineando i caratteri e le diverse posizioni sullo sfondo di una città che vive di sogni, amori, burrascosi conflitti con i genitori, amicizie e magagne scolastiche.

Alam: la conoscenza è già rivoluzione

alam recensione cinematographe.it

Fïras Khoury si avvia alla narrazione tra i corridoi di una scuola: luogo ideale in cui avviare il confronto (non solo tra pari) e in cui apprendere le svariate conoscenze ed è fondamentale sottolineare come le ore di lezione a cui assistiamo siano solamente quelle dedicate allo studio della storia. Lo spettatore entra in classe insieme a quegli alunni e con loro si adegua ad ascoltare capitoli che nell’istruzione occidentale non sono ovviamente contemplati, soprattutto resta catturato dall’interazione che questi studenti intraprendono col docente. La storia insegnata è un baluardo da abbattere poiché è falsa, politicamente edulcorata e non studiarla è un atto di ribellione che in ogni caso non contempla il fatto di non saperla. Perché Safwat (Mohammed Abd El Rahman), per esempio, sa bene ed esattamente cosa accadde nel 1948, con la Guerra d’Indipendenza, quando fu avviata una pulizia etnica a spese dei palestinesi, al punto che nella pellicola vengono chiamati arabo-israeliani. E mentre il giovane è pienamente appoggiato dalla famiglia, le stesse ideologie non piacciono alla famiglia di Maysaa (Sereen Khass), che nonostante ciò organizza atti di ribellione, tentando di coinvolgere anche Tamer (Mahmood Bakri), il quale invece una vera consapevolezza politica non ce l’ha ancora.

Dopotutto, è lui il protagonista, nonostante Alam possa definirsi un film dal cast corale. Proprio perché Tamer si mostra così ideologicamente informe sul suo vissuto si alternano tutte le sfumature di un popolo che si ritrova a fare i conti con l’estromissione da parte di un altro popolo. Affiorano sentimenti patriottici, questioni di giustizia che oltrepassano ogni cosa, ponendo il destino nelle mani dei protagonisti i quali, in quanto giovani e forti, hanno tutto il diritto di manifestare e di sovvertire il sistema.
Le giornate di Tamer, il suo modo così usuale (per un adolescente) di vivere la vita, di prendere sottogamba la scuola, di innamorarsi, di avere discussioni con i genitori, di passare del tempo con un paio di amici – Shekel (Mohammad Karaki) e Rida (Ahmed Zaghmouri) – il cui interesse principale è quello di fumare erba si fa tela preparatoria di un racconto che interseca la Storia alle storie.

Un film da ascoltare, sentire, capire

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Alam è un film giovane e non solo per quel fare acerbo da prima volta (che passa piuttosto in secondo piano) e neanche solamente perché ci mostra il modo in cui questi ragazzi vedono alle altre culture (le squadre di calcio come il Barcellona o i film porno americani), quanto nella misura in cui mostra l’idea della rivoluzione più che la vera rivoluzione: il cambio della bandiera, così come la manifestazione di protesta durante la Nakba (che coincide col giorno in cui si celebra l’Indipendenza d’Israele) sono atti che infastidiscono ma non accelerano il mutamento; atti carichi di valore solo per chi ha l’animo incendiato dagli ideali e crede fermamente di poter cambiare il mondo. Una pretese che solo i giovani possono onorare così audacemente!

Nell’opera di Fïras Khoury si fa molta attenzione alla grammatica dei simboli e, come spiega uno dei personaggi, la bandiera è di fatto uno strumento: se issandola affermiamo la presa di potere, bruciandola proviamo un senso di liberazione. Così la bandiera – nascosta, logorata, eliminata – diviene fulcro dell’intera macchina narrativa, perseguitando, unendo o disgregando i protagonisti.

Alam è un film che si fa ascoltare grazie alla musica: una presenza fatta di inni nazionali, di rapidi passi di pianoforte, di rap sparato ad alto volume dentro la radio di un’automobile; un film che si fa altresì sentire: la puzza di alcol, quella del fumo da sbiadire col deodorante spray. Un’opera fisica che lascia giacere sul fondo la carismatica canzone di Leonard Cohen, The Partisan e che, al netto di qualche défaillance, riesce a far arrivare oltre lo schermo l’urlo di una generazione che resta forse ancora inascoltata.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.3